Behemoth
Evangelion

2009, Nuclear Blast
Death Metal

C'è poco da dire, altra dimostrazione di superiorità. 
Recensione di Stefano Risso - Pubblicata in data: 30/07/09

Fa sempre impressione analizzare la carriera dei Behemoth. Osservare le primissime foto della band, poco più che ragazzini, in mezzo alla neve con asce e mazze chiodate, alle prese con lavori ormai quasi introvabili diventati oggetti di “culto” e vederli oggi in photo session super professionali e video dal budget decisamente sopra la media, gruppo di punta di un intero settore e nuova stella nel firmamento della potentissima Nuclear Blast.

Unico filo conduttore, Adam Darski, ovvero Nergal, leader, fondatore e anima dei Behemoth, l'uomo che ha trasformato quella band di sconosciuti, in musicisti ormai dal successo planetario. Nergal ormai è diventato un sinonimo di qualità, avendo prodotto negli anni dischi sempre di altissimo livello, oltre a qualche capolavoro che rimarrà nella storia del genere. Le sue parole dunque devono quindi essere sempre prese in considerazione... Siamo ormai stufi di dichiarazioni altisonanti a seguito di album non all'altezza, ma Nergal non è certo uno qualunque. Se uno come lui si sbilancia nel dire: “Sono pienamente convinto che Evangelion piacerà a tutti i nostri fan”, allora vuol dire che bisogna solo armarsi di tempo e pazienza e mettersi all'ascolto.

Il giudizio che viene fuori è che "Evangelion", il nono full-length in carriera, non è un capolavoro e non replica i risultati di "The Apostasy" e "Demigod", gli album in cui, ritengo, la band ha davvero compiuto uno step importante. Del resto non era neanche nelle intenzioni di Nergal sviluppare un album ricco come "The Apostasy", dove “abbiamo voluto sfidare noi stessi” (parole sue), ma dare alla luce un lavoro più “compatto”, in cui la vena epica fosse inserita nel tessuto dei brani in modo ancora più profondo. Fondere violenza ed epicità ed esprimerla costantemente nel riffing, in strutture meno studiate ma più viscerali, facendo affiorare un alone sinistro all'album senza ricorrere all'uso abbondante di orchestrazioni, cori e strumenti non ordinari. È come se assorbita l'esperienza del disco precedente, i nostri si siano messi in testa di dare massimo risalto al lavoro di chitarre, basso e batteria, mettendo in secondo piano gli elementi menzionati poc'anzi, la cui presenza si percepisce solo in un secondo momento, intervenendo al punto giusto per chiudere definitivamente lo svolgimento del brano.

Forse questo è l'ostacolo maggiore da superare, rendersi conto che questo è un disco dalla personalità propria, con le sue caratteristiche, senza stare troppo a pensare al passato. Una volta capite le intenzioni della band, allora "Evangelion" si aprirà agli ascoltatori in maniera totale, rivelandosi un altro grande lavoro. Un lavoro curato in ogni minimo particolare, in cui Nergal e compagni hanno dato molta enfasi alle atmosfere, alle melodie, donando al disco un filo conduttore forse molto più pronunciato rispetto a "The Apostasy". Infatti se in quell'album avevamo dieci pezzi potenzialmente da “hit”, molto diversificati l'un l'altro, qui non si hanno picchi così elevati, o meglio, aleggia piuttosto la sensazione che ogni canzone sia fortemente legata al resto del platter, un passaggio obbligato per la totale comprensione finale. Se tracce come "Daimonos" o "Shemhamforash" suonano quasi familiari, in un vortice di potenza difficilmente riscontrabile al giorno d'oggi, già con "Ov Fire And The Void", il classico “lento”, si nota questo apparente “low profile”, in cui a generare l'atmosfera non sono tanto gli orpelli, ma le basi fondamentali della canzone. Lo stesso dicasi per "Transmigrating Beyond Realms Ov Amenti" ed "He Who Breeds Pestilence", forse il pezzo che incarna meglio questa scelta stilistica, davvero evocativo e devastante al tempo stesso. Come tutte le grandi band, i Behemoth riescono a variare il proprio sound senza perdere la propria identità, elemento che esplode prepotentemente nel riff di apertura di "The Seed Ov I", tanto semplice eppure dannatamente “Behemoth”, in "Alas, Lord Is Upon Me", altro pezzo dal carattere evocativo, nella terremotante "Defiling Morality Ov Black God" per arrivare alla chiusura affidata a "Lucifer". Probabilmente il miglior brano conclusivo mai partorito dalla band, un lungo e marziale incedere che fa da summa a quanto ascoltato sin qui: pura epicità.

Non un capolavoro dicevamo, "Evangelion" verrà ricordato “solamente” come un buonissimo album dei Behemoth, un ulteriore tassello di una discografia che non riesce ad abbassare il livello qualitativo sotto una determinata soglia. Inutile sottolineare la perfezione dell'esecuzione tecnica, la facilità con cui la band riesce a esprimersi a tutti i regimi, la ricerca maniacale degli assoli, mai così ben inseriti e composti (e da cui molti pseudo shredder tutta tecnica e senza cuore dovrebbero solo trarre ispirazione), la furia, la precisione e la fantasia del drumming di Inferno, la potenza della produzione, la definizione di ogni strumento, la prova vocale di Nergal, la cura dei testi e dell'artwork... Tutte cose che sono una formalità in casa Behemoth da molti anni ormai. C'è poco da dire, altra dimostrazione di superiorità. 



Intervista
Anette Olzon: Anette Olzon

Speciale
L'angolo oscuro #31

Speciale
Il "Black Album" 30 anni dopo

Speciale
Blood Sugar Sex Magik: il diario della perdizione

Speciale
1991: la rivoluzione del grunge

Speciale
VOLA - Live From The Pool