Autumn
Altitude

2009, Metal Blade
Prog Rock

Recensione di Fabio Rigamonti - Pubblicata in data: 17/04/09

Ho sempre amato definire gli olandesi Autumn come “i The Gathering della terra di mezzo”. Esattamente come i padri fondatori della scena gothic olandese, gli Autumn sono partiti con un paio di album (maldistribuiti e piuttosto ignorati) di robusto female fronted gothic metal, per poi trasformare la loro proposta, con lo scorso “My New Time”, in un rock progressivo e psichedelico di matrice settantiana. A differenza dei The Gathering, tuttavia, gli Autumn non hanno completato l’evoluzione, per cui il suond della band non è diventato eccessivamente astruso e psichedelico: intrappolati in una ideale terra di mezzo tra gothic e progressive, possiamo dire che gli Autumn non vanno oltre a quanto proposto dai padrini su “How To Measure A Planet?”.


Bene, si attendeva questo album con una certa curiosità: vuoi perché gli Autumn non hanno ancora scritto quel capolavoro che, per me, sarebbero perfettamente in grado di comporre, vuoi perché “Altitude” è la prima prova dietro al microfono per la nuova, giovane vocalist Marjan Welman (già sentita all’opera su "01011001" di Ayreon). Dispiace dire subito che tutte le aspettative sono state disattese poiché, fondamentalmente, questo album presenta troppi filler e suona spudoratamente identico a “My New Time”. Sarà perché composto ad un solo anno di distanza dal predecessore, ma ogni cosa in “Altitude” richiama “My New Time”: persino l’artwork di copertina (comunque splendido) e la voce di Marjan che, seppur più delicata e meno incisiva di quella della dimissionaria Nienke de Jong, comunque interpreta i brani con il medesimo tono e la medesima verve, simulando in tutto e per tutto le soluzioni che Nienke avrebbe usato su questo album. Tutto questo, comunque, non rappresenta un difetto: in questo modo, i fan degli Autumn si sono risparmiati un trauma eccessivo e la visione artistica della band, nel cambio di singer, non ne ha risentito minimamente.


Fortunatamente, ci sono anche dei gran bei pezzi in questo album, gemme destinate a brillare per sempre nella discografia Autumn, quali “Skydancer” (che, se gli Autumn si vogliono un minimo di bene, dovrebbero immediatamente proporre come singolo, data l’estrema accessibilità e godibilità della canzone) oppure “Cascade (For A Day)”, delicata ed energica al contempo, con una programmazione delle tastiere davvero ispirata ed azzeccata. Ancora si distinguono il mid-tempo struggente di “A Minor Dance” e “The Heart Demands”, nonostante l'evidente ispirazione (chiamiamola così…) che la band ha raccolto dai Muse; la chiusura affidata alla title-track, inoltre, è un ottimo modo per atterrare dal volo di un album che nasconde, al suo interno, luci (alcune) ed ombre (forse un po’ troppe).


Tirando le somme: i fan della band possono tirare un sospiro di sollievo, perché poteva andare decisamente peggio viste le premesse, mentre gli ascoltatori interessati agli Autumn farebbero forse meglio a procurarsi “My New Time” prima di passare ad “Altitude”: non che la situazione fosse granché migliore sull’album precedente, ma quantomeno lì i filler erano almeno un paio di meno (e, se vogliamo, comunque su “My New Time” c’era l’energico cantato di Nienke a risollevare le sorti dei brani). Per quel che mi riguarda, continuo ad attendere speranzoso il capolavoro che prima o poi gli Autumn riusciranno a comporre.





01. Paradise Nox
02. Liquid Under Film Noir
03. Skydancer
04. Synchro-Minds
05. The Heart Demands
06. A Minor Dance
07. Cascade (For A Day)
08. Horizon Line
09. Sulphur Rodents
10. Answers Never Questioned
11. Altitude

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