Dodicesimo album in studio per i deathster più inossidabili del pianeta. Perchè si può essere certi di poche cose nella vita: tasse, morte e Cannibal Corpse. Poche formazioni hanno saputo unire il proprio genere con l’identità stessa della band in modo così imprescindibile, diventando l’uno il sinonimo dell’altra.
Arrivati a questo punto della carriera risulta per noi difficile non ripetere le stesse cose in ogni recensione, figuriamoci per i Cannibal Corpse, che a ogni tornata devono mettere in piedi una quarantina di minuti con l’unico obiettivo di perpetrare il proprio verbo e “costringere” i propri fan a spararsi un lotto di canzoni nuove di pacca. Anche questa volta, come da copione, i Cannibal Corpse fanno i Canibal Corpse, un copione ormai così collaudato che, almeno sulla carta, potrebbe andare avanti all’infinito. La maestria e l’esperienza in dote alla band sono tali da non scadere mai nel “brutto”, riuscendo anche a questo giro a sfornare un disco dignitoso che si lascia ascoltare abbastanza volentieri.
Purtroppo è proprio qui il nodo della questione. Come fu per “Evisceration Plague”, anche il nuovissimo “Torture” è solamente un tassello in più nella discografia, ma non possiede la carica, le qualità e, in buona sostanza, le canzoni, per poter essere annoverato tra le produzioni da ricordare di Webster e compagni. È come se l’onda lunga di “Kill”, ad oggi l’ultimo album/capolavoro degno del blasone dei Cannibal Corpse, non si fosse esaurita con “Evisceration Plague”, già una copia meno incisiva, ma sia arrivata a lambire anche “Torture” a ben sei anni di distanza, in cui si possono riscontrare perfettamente tutti gli stilemi delle ultime produzioni, dal riffing tecnico e groovy, con canzoni che alternano partiture concitate a momenti più asfissianti, la solita cura negli assoli (anche se O’Brien ha fatto molto meglio), ecc... Tutto quanto si possa associare ai nostri declinato però in tono minore, in cui non mancano diversi (e palesi) episodi di autocitazionismo difficili da perdonare per musicisti così esperti.
Persino il connubio con Erik Rutan alla produzione, che in “Kill” segnò quasi un nuovo standard nelle produzioni death, diventa poco stimolante e prevedibile. Sia chiaro, non mancano episodi degni di nota, citiamo su tutti “Scourge Of Iron”, il tipico “lentone” da manuale che rende impossibile non “voler bene” a una band del genere, capace ancora di stupire e coinvolgere con estrema naturalezza. Capacità che dopo oltre vent’anni di attività diventa sempre più difficile distribuire per tutta la lunghezza di un full-length. Un lavoro solo per fan accaniti, un ascolto di disimpegno (sempre se siete dei brutalloidi...), per neofiti del genere, un pretesto per la band per tornare a devastare i palchi di tutto il mondo, “Torture” è essenzialmente questo, consapevoli che il disappunto per un disco nella norma, sparirà ben presto. Perchè in fondo, che mondo sarebbe senza i Cannibal Corpse?
Cannibal Corpse
Torture
2012, Metal Blade Records
Death Metal
Cari ragazzi, il mestiere comincia a non bastare più...
Recensione di Stefano Risso - Pubblicata in data: 09/03/12 01. Demented Aggression
02. Sarcophagic Frenzy
03. Scourge of Iron
04. Encased in Concrete
05. As Deep As the Knife Will Go
06. Intestinal Crank
07. Followed Home then Killed
08. The Strangulation Chair
09. Caged…Contorted
10. Crucifier Avenged
11. Rabid
12. Torn Through
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