Epica
Requiem For The Indifferent

2012, Nuclear Blast
Symphonic Metal

Gli Epica compongono il canto funebre di un genere musicale sempre più privo di idee e di vitalità
Recensione di Marco Belafatti - Pubblicata in data: 06/03/12

Per una band che nel giro di pochissimo tempo si ritrova sulla bocca di tutti dopo un esordio non propriamente illuminato dalle luci dei riflettori, può diventare paradossalmente faticoso fare i conti con la propria musica. Un album di buona fattura può divenire garanzia di un successo di larga scala, può spianare la strada ad un disco-erede che ne rappresenti lo sviluppo estremo, consentendo ai propri autori di scalare la vetta più alta della loro carriera... Tuttavia, da lì in poi, il passo verso il capitombolo è brevissimo, soprattutto quando la band in questione è in qualche modo “costretta” dal suo stesso successo a battere il ferro finché è caldo e ad accontentare schiere di fan sparse in ogni angolo del globo, oppure quando dietro a questo stesso successo s'innalzano le logiche di una label come la Nuclear Blast, che punta anzitutto ai grandi numeri. Agli Epica, reduci dall'impressionante evoluzione stilistica e compositiva che caratterizzò il fortunato “Design Your Universe”, è toccata questa triste sorte. I Nostri hanno di fatto perso la bussola, schiacciati dalle aspettative di un pubblico sempre più numeroso che in questi sei musicisti, non si sa bene come, ha riconosciuto delle inarrivabili divinità del pentagramma (quando nessuno di loro, ammettiamolo apertamente, mostra chissà quale fantasia compositiva o esecutiva – non su questo disco, per lo meno), creature semi-mitologiche capaci di trasformare un genere sempre più blando e moscio come il metal con voce femminile in un tripudio di solennità progressive e ferocia death metal.

Requiem For The Indifferent” è un disco che vuole accontentare ogni genere di palato, ma che, a differenza del predecessore, manca di una vera e propria anima di fondo, di una linea guida, di un'ispirazione tangibile che sorregga questi interminabili 73 minuti di musica durante i quali Mark Jansen e soci sciorinano escalation di luoghi comuni già ascoltati (ed apprezzati) su “The Divine Conspiracy” e “Design Your Universe”, senza concedersi il minimo senso della misura. Probabilmente gli Epica, che hanno sempre mostrato una certa predilezione per le lingue morte, hanno preso alla lettera l'antico adagio latino “Melius abundare quam deficere”, ma hanno perso per strada la sostanza delle composizioni nel tentativo di preparare il loro miglior polpettone di sempre schivando l'incombente rischio “buco nell'acqua”.

I tredici brani in scaletta, per via dell'incauto modus operandi appena descritto, si susseguono svogliatamente, senza un guizzo di genio, senza una melodia vocale o un arrangiamento in grado di catturare l'attenzione di chi, come il sottoscritto, non riesce più ad accontentarsi della solita minestra, per giunta riscaldata male. In fin dei conti qualcuno la potrà anche chiamare “genialità”, ma per registrare “Requiem For The Indifferent” è bastato scomporre il puzzle composto dai tasselli dei dischi precedenti e mescolarli fino a ottenere un nuovo collage sulla base degli stessi, identici elementi di partenza. Il tempo ha evidentemente ingiallito il copione degli Epica, che in buona sostanza è rimasto uguale a quello di due anni fa, perdendo tuttavia lo smalto dei bei tempi; potremmo dire lo stesso dei “rivali” finlandesi Nightwish, ma la band di Tuomas Holopainen, con il recente “Imaginaerum”, ci ha dimostrato come un fortissimo ed inimitabile senso della melodia, ottime capacità d'intrattenimento e arrangiamenti multiformi possano sopperire a qualsiasi deficit in termini di originalità.

I fan – del resto questo disco non è altro che una dichiarazione d'amore nei loro confronti, con buona pace di tutte quelle band che scrivono musica solamente per seguire le proprie inclinazioni artistiche – non mancheranno di andare in brodo di giuggiole ascoltando gli strazianti tappeti corali di una noiosa title-track (persino i connazionali Within Temptation dopo anni ed anni di perseveranza si sono stancati della componente gotica, perché gli Epica si ostinano a riproporre gli stessi, ridondanti espedienti “scenici” che andavano di moda due lustri fa?), così come non mancheranno di lodare l'operato della bella Simone Simons (mai così piatta ed ordinaria come su questo full-length) e della vecchia volpe Mark Jansen, che a quanto pare non riesce proprio a fare a meno di strillare nel microfono (quanti sbadigli su “Stay The Course”!). In ultima istanza arriveranno i testi, perché gli Epica, loro sì che sono una band impegnata e le loro liriche analizzano in maniera iper-lucida la crisi finanziaria, la Primavera Araba e le sempre più problematiche dinamiche etiche e sociali del mondo occidentale...

Sarcasmo a parte, è sconfortante pensare che sarebbe bastato sviluppare meglio le tentazioni broadwayane di “Deep Water Horizon”, “Avalanche” e
“Serenade Of Self-Destruction (le tre pecore nere, nonché i brani migliori dell'album) per non incappare in cotanta artificiosità. Invece, nel migliore dei casi, dovremo rassegnarci ad un freddo e meccanico headbanging sui banali riff di “Monopoly On Truth”, salvata da un finale teatrale al punto giusto (il buon Isaac Delahaye, in ogni caso, non è nemmeno pervenuto) e a canticchiare un ritornello che più fiacco non si può sul singolo “Storm The Sorrow”, sforzandoci di apprezzare la sua struttura quanto meno non ridondante.

Un vero peccato: se con “Design Your Universe” il symphonic metal sembrava risorto e pronto a risplendere nei secoli dei secoli, “Requiem For The Indifferent” avanza come un austero e inesorabile canto funebre, con la definitiva conferma che questo genere è ormai morto e sepolto e che quello che oggi abbiamo di fronte non è altro che un fantoccio inanimato che ne ha assunto le sembianze.





01. Karma
02. Monopoly On Truth
03. Storm The Sorrow
04. Delirium
05. Internal Warfare
06. Requiem For The Indifferent
07. Anima
08. Guilty Demeanor
09. Deep Water Horizon
10. Stay The Course
11. Deter The Tyrant
12. Avalanche
13. Serenade Of Self-Destruction

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