The Zen Circus
Nati Per Subire

2011, La Tempesta Dischi
Alternative Rock

I The Zen Circus fanno pace con la loro italianità, e ci travolgono
Recensione di Fabio Rigamonti - Pubblicata in data: 13/01/12

Il 2011, per i The Zen Circus, è stato decisamente un anno pieno di grazia. Il terzetto pisano, difatti, non solo ha ripubblicato, su grande richiesta del pubblico, i primi quattro, introvabili incisi della band, ma ha anche fatto pace con la sua italianità.

Nati Per Subire”, difatti, non solo vede una ripulisti generale in seno alla band – persino nel look, se vogliamo – ma ha anche snellito ulteriormente l’energia punk degli esordi della formazione in una colata lavica di folk pop nostrano derivato dai ‘60s. Non per questo, tuttavia, l’inciso appare come appiattito, tutt’altro: la ulteriormente perfezionata dimensione sonora trovata da Appino & Soci travolge tra citazioni del surfing rock (“Milanesi Al Mare”), il deserto Mariachi creato dalla chitarra immerso nel cantautorato pop di protesta tutto italiano (“Nel Paese Che Sembra Una Scarpa”), irresistibili filastrocche e ballate con quel break di banjo e percussioni che non ti aspetti (“Atto Secondo”) o canzonette punk buttate lì quasi per caso, salvo poi che te le ritrovi addosso e non sai come scollartele (la titletrack). In tutto questo, gli Zen Circus non ci risparmiano nemmeno la piena citazione del crescendo post di “Festival” dei Sigur Ròs trasposto con uguale trionfalismo su “Il Mattino Ha L’oro In Bocca”, o una versione acidamente rock della Rita Pavone più fissa sul mattone di “Ragazzo Eroe”.

E se la musica crea questo irresistibile gioco di contrasti tra l’energia del punk rock acidamente alternativo con il pop più diretto ed aderente al nostro italico DNA, non sono da meno i meravigliosi testi dell’opera. Per la seconda volta nella loro quasi ventennale carriera, difatti, gli Zen Circus compongono un disco completamente in italiano, in cui le liriche paiono quasi sciogliersi in melodiosa dolcezza sul timbro unico di Andrea Appini, per poi riservare, tra le pieghe di questo meraviglioso e mellifluo fiume di parole, un substrato di denuncia ed una ricchezza tematica a dir poco mirabile. Sono versi chirurgicamente sferzanti quelli presenti su “Nati Per Subire”, eppure queste parole non ci vengono urlate addosso, ma autenticamente cantate direttamente nel nostro cervello, dopo una capatina al cuore.

Ed ecco, dunque, che nel primo singolo estremamente cantabile – quasi una nenia infantile – dell’opera si nasconde un messaggio sull’ateismo davvero forte (“L’Amorale”, con un video che ha fatto deliziosamente scandalo, tanto da essere stato censurato da praticamente ogni network), oppure che il ritratto nervoso e disincantato del magazziniere FIAT “Franco” lasci un alone di grigio e malinconia, proprio come il mood della canzone (in cui cui, in veste di ospite, appare Giorgio Canali, perfettamente aderente al ruolo).

La migliore conclusione in calce a questo articolo è che “Nati Per Subire” è uno dei migliori dischi che la musica italiana abbia partorito nel corso dell’anno che si è appena concluso, poiché stuzzica continuamente l’ascoltatore, non concede ad esso un minimo di respiro smuovendo la sua coscienza, e ciò non si realizza attraverso una musica asfissiante o celebrale, piuttosto con una bordata melodica di fine astuzia ed intelligenza che immediatamente ci fa sentire a casa, e ci fa apparire tutto così tremendamente vero e sincero.

Ed in questo momento del nostro presente, Dio - che non esiste, lasciatelo dire - solo sa se in Italia non c’è bisogno di genuina sincerità.



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