Graveworm
Fragments Of Death

2011, Nuclear Blast
Gothic

Recensione di Eleonora Muzzi - Pubblicata in data: 29/11/11

I Graveworm non sono mai stati una band di prima linea. Nel corso di quasi vent'anni di carriera hanno sempre mantenuto un posto di nicchia nel pantheon del metal, pur guadagnandosi, di album in album, una fan base sempre più ampia e fedele, che ad ogni nuovo LP è pronta a sostenere la band altoatesina. Dopo un inizio improntato ad un metal estremo dalle forti tinte sinfoniche, da qualche anno a questa parte i Nostri si sono soffermati su un gothic estremo sulla scia dei più famosi Cradle Of Filth, pur senza la grandeur che caratterizza i colleghi d'oltremanica.

Con questo “Fragments Of Death” i Graveworm giungono all'ottavo full length e la proposta musicale è sempre quella: un metal con attimi estremi mescolati a lunghe sezioni melodiche e sinfoniche, in cui le tastiere regnano, indiscusse sovrane di un sound che si è andato via via cristallizzando. A partire dal capolavoro “Scourge Of Malice”, datato 2001, la band si è in buona sostanza fermata e ha continuato su quel filone che li aveva portati ad un ottimo successo di critica e pubblico. Purtroppo, quest'operazione ha significato una sorta di stagnazione del sound a mano a mano che gli album si sono susseguiti nel corso dei dieci anni successivi, rendendoli tutti bene o male uniformi e poco distinguibili tra loro. Esistono eccezioni ovviamente, brani che, pur incastrati in un contesto non proprio favorevole, riescono a innalzarsi sugli altri e a risaltare; purtroppo, però, questo porta ad una certa altalena che al contempo mina la qualità del disco, spesso forzando l'ascoltatore a soffermarsi più sui pezzi più scadenti rispetto a quelli migliori.

Con “Fragments Of Death” siamo nuovamente di fronte a questo tipo di album. Esso contiene undici tracce più bonus track, e, come già detto, un'altalena qualitativa non indifferente (a volte uno stesso brano può contenere momenti scadenti e di buona qualità nell'arco del suo svolgimento). La prima parte del full length passa quasi inosservata: classico disco dei Graveworm, con discreti arrangiamenti di tastiere e chitarre che si accollano il dovere di creare una solida architettura per sostenere il tutto (non è bello, però, riscontrare numerosi momenti di cedimento da parte o delle tastiere o del duo chitarristico, piccoli difetti che rendono le canzoni non propriamente sgradevoli ma quanto meno disomogenee). La compattezza non è certamente tra le caratteristiche che compongono questo nuovo full length, che si ritrova a languire in un piccolo mare di anonimia fino a “The World Will Die In Flames”, prima delle poche sorprese di questo album. Con una batteria che ricorda vagamente “We Will Rise” degli “Arch Enemy”, questa canzone spiazza un po' per il risalto che viene dato alle tastiere che, come a voler saltare indietro nel tempo, si rendono protagoniste di un'atmosfera decadente e lugubre, quasi funerea, che per la prima volta fa tendere le orecchie. Sullo stesso piano troviamo “Anxiety”, più lenta ed evocativa anche grazie alla voce femminile che fa capolino nel ritornello. La strumentale “The Profecy” si aggiudica un'altra piccola nota di merito proprio per l'atmosfera che ricrea. Di fatto, le tinte lugubri e dark che hanno sempre contraddistinto i Graveworm sono state progressivamente abbandonate in favore di chitarre più presenti e protagoniste, facendo perdere lustro e interesse nei confronti della band.

Si può tranquillamente affermare che le canzoni migliori di questo album siano le poche in cui le tastiere e gli arrangiamenti orchestrali vengono messi in prima fila e non dietro le quinte a dare un tocco più soft alla proposta degli altoatesini. Senza questi pezzi, ci troveremmo davanti ad un album mediocre e che poco ha a che fare con i Graveworm di dieci anni fa, quando tastiere e scream erano gli elementi che più attiravano l'attenzione nei confronti di una band che aveva le carte in regola per arrivare agli stessi livelli di notorietà dei già citati Cradle Of Filth. Un pizzico dei Graveworm che furono lo si può ascoltare anche nella bonus track “Awake”, che se non avesse quell'etichetta di “bonus” potrebbe tranquillamente essere considerarata la migliore traccia dell'album, in quanto ricorda in maniera impressionante gli anni d'oro dei Nostri. Per come si presentano adesso però, le cose non volgono più verso quella direzione. Un cambio di rotta sarebbe auspicabile, perché le abilità tecniche e compositive ci sono, nonostante manchi quella voglia di rischiare che portò i Graveworm a pubblicare la cover di “Fear Of The Dark” che li rese famosi.



01. Insomnia
02. Only Death In Our Wake
03. Absence Of Faith
04. Living Nightmare
05. The World Will Die In Flames
06. Anxiety
07. See No Future
08. The Prophecy
09. Remembrance
10. Old Forgotten Song
11. Where Angels Do Not Fly
12. Awake (Bonus Track)

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