Lou Reed & Metallica
Lulu

2011, Warner
Rock

Una prolungata agonia di un parto sostanzialmente mai nato.
Recensione di Stefano Risso - Pubblicata in data: 30/10/11

Una delle uscite discografiche più attese dell’anno, due mostri sacri del rock/metal al servizio di un progetto, sulla carta, interessantissimo e stimolante, un battage pubblicitario imponente, dichiarazioni e news a mezzo stampa sempre più frequenti. Una collaborazione concepita nel 2009, in occasione del venticinquesimo anniversario della Rock and Roll Hall of Fame, ma che ha preso forma rapidamente solo nel 2011. Tutto questo è “Lulu”, uno dei dischi con il moniker più pesante della discografia moderna, un lavoro imponente e sfibrante, un macigno che ha già infiammato il popolo di internet... Ma è anche (e soprattutto) un bel disco?

Ormai criticare i Metallica è come sparare sulle croce rossa, quindi chi pronosticava una disfatta già all’indomani dell’ufficialità della collaborazione con Lou Reed, non ha certamente stupito chi ha seguito tutte le peripezie dei “four horsemen”, anche se con “Lulu” bisogna fare un grosso distinguo. Non si tratta infatti del nuovo disco dei Metallica, cosa che tende ad essere dimenticata, ma un progetto ispirato alle opere di Frank Wedekind, scrittore e drammaturgo tedesco, in collaborazione con uno dei pochi artisti che può permettersi il lusso di farsi supportare dai Metallica e, a giudicare da quello che si ascolta, di dettare praticamente tutta la direzione artistica del disco, lasciando ai nostri solo sprazzi di thrash ininfluenti ai fini dell'opera, attestandosi (a grandissime linee) su coordinate riconducibili allo sciagurato periodo "Load/ReLoad". Certo, a gettare benzina sul fuoco, il buon Lars non ha a mancato di lodare a profusione “Lulu” (ma sfido chiunque a prendere sul serio le dichiarazioni del batterista), inneggiando all’apertura mentale necessaria per comprendere l’opera, seguite da un Hetfield a mo' di pompiere che, annusando i primi feedback non troppo positivi, si è prodigato a dire che non si tratta di un nuovo disco vero e proprio, ma tutto quello che abbiamo ribadito fino ad ora. Tutto esatto, solamente che il loro nome in copertina c’è, quindi non ci si può nemmeno tirare indietro...

Dunque che dire su “Lulu”. Un disco certamente pretenzioso, lontano dall’essere quella trovata innovativa paventata più volte, manco fossero i primi a mettere in piedi una “rock opera”, in cui le due anime, Reed e Metallica, fanno una tremenda fatica a fondersi, a miscelarsi in qualcosa di organico e gratificante. Le atmosfere sono ovviamente plumbee, dovendo narrare le vicende della ballerina Lulu, in un inferno di violenza e sesso, con tracce enormemente dilatate, in cui il canovaccio prevede, nella quasi totalità del disco, il tipico stile vocale di Reed, a metà tra canto e recitazione, con una base musicale ermetica, volutamente (speriamo per loro) ostica, arida, ripetitiva, quasi a voler sottolineare i temi trattati nel concept. Un disco che non va ascoltato attendendo il classico svolgimento dei brani, ma una sorta di “colonna sonora”, un’opera teatrale/musicale che non segue i dogmi della normale discografia a cui siamo avvezzi. Certamente l’apertura mentale rivendicata da Lars è l’elemento chiave per riuscire a reggere più di cinque minuti, arrivare alla fine del disco, ahimè riascoltarlo più volte e poi esprimere un giudizio. Apertura necessaria ma non sufficiente per tessere le lodi di un album che, purtroppo, si attesta tra i più clamorosi flop degli ultimi tempi.

Perchè va bene che non sono i Metallica tout court, che se vogliamo è più un disco di Reed, che è una rock opera e via discorrendo... Ma in fin dei conti tutte queste cose dovrebbero comunque ricondurre a una piacevolezza durante gli ascolti, elemento che non affiora nemmeno dopo diversi passaggi nel lettore o su internet, visto che da giorni l’opera è disponibile free sul sito ufficiale del progetto (sembrano eoni quando i Nostri facevano guerra a Napster). Si rimane un po’ basiti nell’ascoltare un brano come “Mistress Dread”, in cui per quasi sei, interminabili, minuti, si ripetono dei riff thrashy che i Metallica suonano ormai da più di un quarto di secolo (quindi già “noiosi” per conto loro), con Reed che vi recita sopra, senza che né gli uni, né l’altro, si prendano la briga di variare un po’ l’andamento del pezzo... Purtroppo si arriva alla fine della canzone solo per sentire se effettivamente non ci saranno cambiamenti di sorta, quasi abbozzando un sorriso quando ci si accorge che le variazioni non sono contemplate dal combo. Un disco davvero strano, di cui si fa fatica quasi a parlarne, di cui ci si chiede se i protagonisti ne siano davvero soddisfatti, al di là delle dichiarazioni ufficiali. Non un album di Lou Reed, non un album dei Metallica, un’operazione spuria che manca della necessaria coesione delle parti; troppo spesso il commento musicale non sembra sposarsi con le liriche (o viceversa), acquistando una parvenza di unità solo quando Hetfield è chiamato dietro al microfono (pochissimo).

Per giunta un lavoro lunghissimo (si superano gli ottantasei minuti), un doppio album che certamente dal punto di vista concettuale giustifica tale minutaggio, ma che musicalmente parlando è solo una prolungata agonia di un parto sostanzialmente mai nato. Una mancanza di dinamismo/ispirazione che affossa anche i momenti migliori, perchè al di là di tutto di cose buone ce ne sono in “Lulu”: il riffing di “Iced Honey”, ben seguito per una volta nella metrica dal cantato di Reed, perde progressivamente smalto ripetendosi oltre la fisiologica sopportazione, come altre diverse parentesi felici, quasi interamente nella seconda metà dell’opera. “Frustration” dice già tutto a partire dal titolo, buoni frammenti in un mare di frustrazione, lo stesso dicasi per “Dragon” e la monolitica conclusiva “Junior Dad”, diciannove minuti davvero estenuanti.

Poche luci in un oceano di ombre, troppo poco per chiudere un occhio in nome dell’apertura mentale sbandierata sopra e di un disco fuori dagli schemi. Poche storie, “Lulu” è un brutto lavoro, ambizioso ai limiti della pretenziosità, il principale candidato al titolo di “Best Flop 2011”. Grandi onori, grandi oneri signori miei...



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