Subsonica
Eden

2011, EMI
Rock/Elettronica

La strada verso l'Eden tracciata dai Subsonica è assai più intricata del previsto
Recensione di Fabio Rigamonti - Pubblicata in data: 11/03/11

Dopo quattro anni di silenzio dall’ultimo plumbeo e desolante “L’Eclissi”, i Subsonica con questo loro sesto album in studio pensano in grande, e vogliono portarci dritti all’Eden. Per tentare di riuscire nell’impresa, i Torinesi giocano la carta della diversità, della dinamicità e dell’eterogeneità più esasperata: è un’orgia di suoni, difatti, quella che vi attende su questo inciso, tutta magnificamente prodotta dai Subsonica stessi nei loro nuovi e fiammanti Andromeda Audio Studio, quindi mixata presso le Officine Meccaniche di Mauro Pagani e, infine, masterizzata agli Exchange Studios di Londra: una sequenza di lavoro davvero impressionante per uno dei dischi dai suoni più cristallini che mi sia capitato di sentire.

Al di là di questi dettagli tecnici, è importante cominciare col dire che è davvero difficile che qualcuno non possa trovare, tra le undici canzoni che costituiscono quest’opera, un brano che possa incidersi nella memoria e nel cuore: si può rimanere affascinati dal minimalismo elettronico – ma pronto a gonfiarsi, al termine del brano, in una destrutturazione industrial – dell’iniziale title-track, dalla leggerezza degli anni ’80 (sì, anche i Subsonica ci sono cascati nel revival ‘80) espressa alla perfezione dalla chitarra tropicale di C-Max ne “Sul Sole” o magari, in sostituzione di questa canzone, dal gioco stentoreo e militare (ma forse un poco debole nella melodia) di “La Funzione”.

Si può ammirare con favore l’influenza di Bristol nel classico dub paludoso di “Serpente”, oppure preferire – come fa il sottoscritto – quando l’album prende velocità ed energia, per cui mirare la claustrofobia oscura e politicizzata di “Prodotto Interno Lurido”, o la magnifica ironia al limite del clash elettronico di “Benzina Ogoshi”, una lama lanciata con simpatia a noi critici e a chi non pare mai soddisfatto dalla band; magari, invece, a molti di  voi tutto questo non interessa, per cui è facile che vi innamorerete del lato melodico e romantico del lavoro, quindi la classica “ballad all’italiana”, ma riletta in chiave Subsonica, di “Quando” vi gusterà molto di più rispetto a tutto il resto, oppure verrete travolti dal sorprendente funky di “Istrice”, un singolo che si può dire già di successo.

A questo punto, c’è, ovviamente, un grosso “ma” in arrivo, e dovrebbe esservi suggerito dall’elenco impazzito ed incoerente che vi ho appena descritto; vedete: la strada verso l’Eden tracciata dai Subsonica non è affatto un sentiero dritto e facilmente percorribile, piuttosto un (disco) labirinto in cui è facile perdersi, un intrico di sentieri lastricati da abbaglianti mattonelle sonore colorate e tessute in una struttura pop che contribuisce a rendere, in un qualche modo, evanescenti le canzoni. Ed è così che l’elemento che dovrebbe caratterizzare ed esaltare l’opera, diviene al contempo il suo più grande difetto. Non dovrebbe, tuttavia, sorprendere: la band stessa ha dichiarato che il futuro dei Subsonica era più che mai incerto, dopo questi quattro anni in cui tutti i membri si sono dedicati ad altro; e sono stati proprio questi progetti collaterali e personali che hanno fatto sì che i Nostri si riunissero in una casa isolata ai margini di un bosco per vedere cosa le loro apparenti rinnovate esigenze musicali riuscissero a creare. Purtroppo, la reazione chimica innescata non pare essere perfettamente bilanciata, per cui il risultato non è una cristallina soluzione ma, piuttosto, un’emulsione instabile, pronta a dissociarsi in qualsiasi momento nei suoi elementi costitutivi.

Vedete, cari ragazzi, qui non si tratta di non essere riusciti a bissare “Microchip Emozionale” (“Benzina Ogoshi” docet), quanto sul fatto che, forse, avete calcato la mano troppo in direzione opposta rispetto al precedente inciso, ed in modo, forse, un poco innaturale. Nulla di male comunque: i fan rimarranno soddisfatti, di nuovi inevitabilmente ne arriveranno attratti da questo camaleonte discografico, e la reputazione della band non ne esce, in fondo, affatto sminuita. Tuttavia, non considererei seminale questo lavoro, tantomeno memorabile…magari questi importanti aggettivi li riserviamo per la prossima volta, volete?



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