Within Temptation
The Heart Of Everything

2007, BMG/Sony
Gothic

Recensione di Fabio Rigamonti - Pubblicata in data: 20/01/11

A soli due anni e qualche mese di distanza dal precedente “The Silent Force” – un tempo insolitamente breve per la band – i Within Temptation tornano ad assaltare il mercato, oramai ebbro nei loro confronti, con il quarto album in studio intitolato emblematicamente “The Heart Of Everything”. L’opera, ancora una volta, racchiude in sé un’ambizione: fungere da summa di tutto quello che i Within Temptation hanno rappresentato sino a questo punto, costruendo la classica opera che sia in grado di racchiudere tutti i pregi delle diverse incarnazioni assunte dalla band nel tempo. Ora, se qualcuno si attendeva, dopo queste dichiarazioni, un ritorno al passato prettamente gothic metal della band, inevitabilmente con questo disco sarà costretto ad ingoiare l’ennesimo boccone amaro, visto che un mood autenticamente oscuro è effettivamente racchiuso nella sola titletrack, grazie a sospiri che animano una melodia nera e tormentata, mentre, per tutto il resto, siamo ancora fermamente ancorati alle coordinate di un gothic rock impreziosito da numerosi inserti sinfonici.

A parte la titletrack sopra menzionata, il disco sa anche offrire tre tracce fantastiche e memorabili come l’epica e solenne di “Our Solemn Hour” (aperta da un discorso di Churchill e coronata dal classico ritornello da cantare a squarciagola in sede live), epicità mantenuta anche nella divina orchestrazione che anima “Hand Of Sorrow” (probabilmente, il pezzo migliore mai composto dai Within Temptation, grazie ad un vortice di pura melodia che prende la spina dorsale) e “The Cross”, brano interessante e sperimentale dove il tipico tormento di una cantautrice uterina come Tori Amos viene stemperato in un arrangiamento gothic rock che, nella sfrontatezza della composizione, si permette persino di includere un mandolino a macinare riff energici insieme alle chitarre di Ruud Jolie e Robert Westerholt. Poi, abbiamo una presentazione discreta del lavoro nell’incipit di “The Howling” (canzone destinata a supportare in musica la classica opera mediocre a cui i WT, a quanto pare, non sanno mai dire di no – nello specifico, il decisamente povero e per fortuna mai uscito MMORPG “Spellborn” per PC), un singolo decisamente bello (la power ballad “Frozen”, dove la sempre magistrale interpretazione della Den Adel, ancora una volta, sa rendere alla perfezione lo struggimento della disperazione), un singolo che non è poi così brutto - per quanto ruffiano - come la gente ama definirlo (“What Have You Done”, in compagnia di un redivivo Keith Caputo che dona verve al pezzo), e poi sì un singolo scandaloso per quanto melenso ed asfissiante (la ballad “All I Need”, di recente utilizzata per musicare una puntata dei Vampire Diaries, ed è tutto dire…). Infine, rimane da citare “Forgiven”, una conclusione per piano e voce: impossibile rimanere impassibili di fronte ad un vocalizzo così leggero eppure così emozionante come quello costruito dalla sempre più immensa Sharon (seconda per bravura, sulla scena olandese, solamente a quel mostro di pura tecnica e versatilità che risponde al nome di Floor Jansen), ed il classico paio di pezzi davvero brutti  e trascurabili come l’assolutamente insipida “Final Destination” (ispirata dall’omonima serie di film horror – giustamente: ispirazione esile, canzone pessima) e l’eccessiva semplicità che porta immediatamente a noia su quello che dovrebbe essere, invece, il pezzo progressivo del lavoro, ovvero “The Truth Beneath The Rose”.

Leggendo l’elenco che ho appena scritto, si intravede immediatamente che, nonostante tutto, i Within Temptation, con questo titolo, hanno saputo sopperire al difetto principale dell’opera precedente, ovvero ritrovare il senso della misura, soprattutto nel dosare laddove necessario orchestrazioni e cori, irrobustendo di conseguenza le chitarre che, in queste composizioni, non sono mai messe in secondo piano e vengono saggiamente usate per dare corpo alle sempre convincenti melodie. Altrettanto chiaro che la qualità del songwriting, a conti fatti, è decisamente altalenante, e con meno pezzi deboli in scaletta (magari sostituiti dalle succose b-sides dei singoli estratti da questo album, come l’influenza del folk orientale di “Blue Eyes” o il puro gothic rock scala-classifica di “The Last Time”), si sarebbe potuto sicuramente parlare di un ottimo lavoro.

Così com’è, invece, “The Heart Of Everything” rimane un’opera decisamente convincente, a tratti sinceramente entusiasmante, ma, in fin dei conti, è anche il classico album di chiusura di una fase musicale che, nel futuro, urge di un minimo rinnovamento o, quantomeno, di roboante ispirazione. Vedremo se con l’imminente “The Unforgiving” (previsto per il mese di marzo di quest’anno) i Within Temptation ci regaleranno l’ennesimo buon album, oppure un’opera vibrante di passione e totalmente travolgente come seppe essere all’epoca “Mother Earth”.



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