Within Temptation
The Silent Force

2004, BMG/Sony
Gothic

Recensione di Fabio Rigamonti - Pubblicata in data: 30/12/10

Cose curiose accaddero agli olandesi Within Temptation dopo l’uscita di “Mother Earth”: il terzo singolo estratto dall’album, “Ice Queen”, come un virus dal contagio inarrestabile, dapprima conquistò le prime posizioni nella natia patria, salvo quindi espandersi pandemicamente ai mercati affini quali Belgio, Germania ed Austria. Ciò portò la band ad essere più capillarmente presente sul territorio europeo anche in sede live, tanto da evidenziare i limiti di un deal stipulato con una piccola label locale sull’orlo del fallimento quale la DSFA; tempo di sfruttare appieno quell’inatteso successo per non perdere un’occasione più unica che rara. Fu da qui che i Nostri decisero di accodarsi alla Gun di Wolfang Petersen, controllata di BMG a sua volta controllata di Sony, e ciò portò dapprincipio a numerose riedizioni dilazionate nel tempo del capolavoro indiscusso della band olandese.

Una lunga premessa, necessaria per introdurre due fattori: il lungo periodo di attesa trascorso tra questo “The Silent Force” ed il precedente disco - una costante, comunque, in casa Within Temptation – dovuto essenzialmente ad una promozione praticamente tripla di “Mother Earth”, e poi i copiosi mezzi economici con cui la band si ritrovava per la prima volta nella carriera ad avere a disposizione per la registrazione di un disco; risorse che, oltre ad un rinvigorimento e rinnovamento di immagine, li portò anche a disporre di un’intera orchestra e di un coro totalmente autentici per la registrazione di quella che doveva necessariamente nascere come un’opera di successo. Già, l’ambizione non è una caratteristica secondaria di questo lavoro, una ruffianaggine che si manifesta alla perfezione nel primo singolo estratto dall’opera, quella “Stand My Ground” che davvero possedeva sin troppi riferimenti agli Evanescence (band sulla cresta dell’onda all’epoca), con tanto di plagio al video di “Bring Me To Life”; tutte mosse di scarsa classe che non erano mai appartenute, sinora, a Sharon Den Adel & Co. Sia chiara, a questo punto, una cosa: se già con il lavoro precedente la parola “metal” a seguire l'aggettivo “gothic” era una leggera forzatura nella definizione della musica della band, con questo disco la parola “metal” diviene totalmente inopportuna, ed è pertanto bene sostituirla con la più consona “rock”.

Sembra che io stia descrivendo un’opera destinata al disastro ma, fortunatamente, non è così. Certo, l’orchestra è onnipresente in modo ingombrante lungo tutte le canzoni dell’album, usata senza alcun apparente criterio col risultato di appiattire e rendere ancora più esili canzoni dalla struttura non certo memorabile come “Aquarius”, l'apparentemente epica “Forsaken”, piuttosto che un’altra faciloneria posta come classica “ballad da secondo singolo” rispondente al titolo di “Memories”. Eppure, a tutte le canzoni che ho appena citato non si può davvero volere male, perché i Within Temptation, nella scrittura di “The Silent Force”, non hanno dimenticato un ingrediente fondamentale e prezioso: il cuore. Una genuinità di fondo, che si avverte con chiarezza nell’epicità – stavolta autentica – di una “Jillian (I’d Give My Heart)”, perfetto manifesto di una figura dilaniata dal rimpianto, supportata magnificamente da una Den Adel oramai vocalmente piena e matura, oppure nella giusta verve commerciale del singolo “Angels”, piuttosto che nell’invito a scoprire lo spirito “rinnovato” della musica della band posta nell’incipit di “See Who I Am”.

C’è questa forte, persistente sensazione di riuscire comunque a cogliere, nonostante tutto, la linea melanconica che da sempre caratterizza la band di Waddinxveen, un filo nero di disperato struggimento stemperato in un vortice di avvolgente melodia rock, un mix che non poteva davvero fallire l’obiettivo di consolidare un successo che, dopo “The Silent Force”, è divenuto praticamente universale. Certo, qualitativamente parlando questo disco rappresenta tuttora il punto più debole della band, incarnando il classico album privo di misura e smanioso di ottenere troppi consensi e, forse, troppo facili consensi. Ciononostante, è un album che riesce ad affascinare e, concedendogli una cospicua dose di indulgenza, a farsi follemente amare per quello che è.



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