Cult Of Luna
Salvation

2004, Earache Records
Sludge

Recensione di Federico Botti - Pubblicata in data: 16/12/10

Una partenza in sordina, arpeggi lievi, tocchi leggerissimi che creano dei cerchi concentrici simili a quelli generati da sassi lanciati in un lago; timidamente si fa largo la batteria, la quale si unisce in un tutt’uno con gli altri strumenti, per poi deflagrare come una stella abbagliante e accecante, che ti brucia le retine e ti fa vedere solo bianco. Da qui in poi l’incedere si fa tribale, cupo, marziale, in un climax che culmina con l’inizio della furia post-hardcore: urla rabbiose, roche, che si alternano a momenti più pensosi, quasi mistici, ben tratteggiati dalle sei corde.

Quella che vi ho appena descritta è “Echoes”, prima traccia di “Salvation” degli svedesi Cult Of Luna, band post metal (ma anche post hardcore, sludge, crust, doom, dipende in quale loro fase ci si imbatte) che con questo disco del 2004 tocca il suo personale apice creativo. “The Beyond”, così sanguigno e feroce, è stato lasciato alle spalle: “Salvation” pare quasi esserne il risvolto della medaglia, amplificando e sviluppando divagazioni eteree, cosmiche, spirituali quasi (e questa dimensione è ben presente nei testi dei Nostri). L’universo post rock collassa su se stesso, muta forma e ne emerge questo capolavoro, otto tracce che, se ascoltate tutte assieme, costituiscono un continuum avvolgente e straniante, un viaggio attraverso fosche ombre e accecanti spettri che non può non toccare l’ascoltatore.

La proposta dei Cult Of Luna non è però immediatamente digeribile: sebbene più “leggero” di “The Beyond”, “Salvation” può risultare un po’ ostico a un primo ascolto, disorientante, e per questo necessita dunque di pazienza e dedizione, ma ne vale davvero la pena. Ci sono dei pezzi che fanno della ripetitività, delle strutture tra loro molto simili, delle partiture liquide e fluide che d’improvviso si fanno rocciose e massicce, il loro valore principale. “Leave Me Here” è un fiume in piena che logora, con il suo scorrere incessante, anche le rocce più resistenti, e se pare affievolirsi nella sua metà è solo un momento di quiete, un passaggio meditativo che si ripeterà più volte lungo il pezzo, necessario al processo di costruzione-destrutturazione che sta alla base della composizione. “Adrift” pare essere stata composta per svettare sulle altre in termini qualitativi: titanica e imponente, ha la stessa materiale possenza dei ruderi di un castello arroccato in cima a una rupe a picco sul mare. Come tutti gli altri pezzi vive di contrapposizioni, di echi, è ondivaga e ammaliante, creata attorno a passaggi melodico-ritmici ipnotici che sembrano protrarsi all’infinito (si veda a tal proposito la sua parte centrale), e i sette minuti scarsi che la compongono paiono portarsi dietro uno spettro di emozioni vastissimo, come quelle percepite durante un lungo viaggio. La pausa meditativa di “Crossing Over” serve da frangiflutti in attesa dei dieci minuti di “Into The Beyond”, summa del pensiero degli svedesi e apoteosi delle soluzioni stilistiche da loro impiegate in questo album.

I Cult Of Luna sono tra i migliori in quello che fanno, ora più che mai visto lo scioglimento degli Isis, con i quali hanno più di un punto in comune (anche e soprattutto a livello tematico). Proprio a tal riguardo meritano particolare attenzione i testi delle canzoni dei Nostri (non solo quelli presenti in questo disco), sempre così profondi, spirituali e meditativi, in perfetta simbiosi con la loro musica. Il viaggio che ci propongono con questo “Salvation” è un po’ una sorta di salto nel vuoto, un vuoto vago e indefinito, un candore innaturale e etereo, un “oltre” che sa di rinascita e insieme di morte, ad ogni modo una salvezza dal materiale e talvolta sin troppo inumano mondo nel quale viviamo. Un concetto bel esemplificato da una frase tratta dal disco, splendido pensiero a chiusura di questo viaggio: “So I take a step into the first morning light. I have found the truth, my end and salvation”.




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