Strapping Young Lad
Alien

2005, Hevy Devy Records/Century Media
Thrash

Recensione di SpazioRock - Pubblicata in data: 21/10/10

Recensione a cura di Roberto Gatti

Qui si fa sul serio. Quarto album in studio per i compianti Strapping Young Lad, quarto viaggio tra i pensieri del frontman Devin Townsend che da quando ha abbandonato l'amico Steve Vai (per lui registrò le tracce vocali nell'album Sex&Religion nel 1994 accompagnandolo anche nel relativo tour) ha la sana abitudine di riversare tutto ciò che pensa in musica. E il caro Devin di cose ne pensa. Si può dire che i SYL siano l'espressione dei suoi pensieri più oscuri e cattivi, accompagnati da una piccola ma sufficiente dose di umorismo, tutto ciò riversato sui suoi fan come un vero e proprio tzunami. E per farlo il buon Devin prende le cose molto seriamente, tanto da smetterla con i farmaci per il trattamento del disturbo bipolare di cui è affetto prima di affrontare la composizione dell'album in modo da poter convogliare nel disco tutta la sua personale visione del mondo. Ad assisterlo durante questa impresa troviamo un Gene Hoglan qualsiasi (Death, Testament e Fear Factory tra i mille gruppi con cui ha collaborato) nella formazione ufficiale a partire dal secondo album "City" del 1997 e co-autore insieme a Townsend delle musiche e degli arrangiamenti. I testi sono invece ad opera esclusiva del genio bipolare, che si rifiuta da anni di cantare testi scritti da altre persone (tanto di cose da dire ne ha, non è sicuramente un problema).


Ma cosa hanno preparato per noi i nostri amici? Il disco si apre con "Imperial", brano, quasi un'intro in realtà, che sin dalla prima battuta si riversa sull'ascoltatore con potenza e solennità annunciando a gran voce il ritorno sulle scene della band ("We are returned" canta Devin) e che invita ad addentrarsi sempre più nel pensiero "Townsendiano" chiudendosi dopo due minuti per lasciare spazio a "Skeksis", brano al limite tra estremo e progressivo. Hoglan fa sentire da subito la sua imponenza mentre voci su voci danno vita ad una canzone tanto complessa quanto diretta. Indubbiamente uno dei brani migliori dell'intero disco. Ed eccoci a "Shitstorm". Con un titolo così cosa c'è da dire? Preparatevi ad un vero assalto, forte da farvi venire i sudori freddi. Probabilmente mentre scriveva questo brano Townsend non era su questo pianeta, e ovunque fosse ci è rimasto abbastanza per comporre anche "Love?", quarto brano del disco. Qui la musica cambia e ci troviamo davanti a un brano più cadenzato, oserei dire quasi struggente nel ritornello tanto melodico quanto fuori di testa nel contenuto. Anche qui siamo di fronte ad un brano davvero notevole, della giusta durata e che sin dal primo ascolto lascia un'impronta indelebile. La prima volta che ho ascoltato questo album a questo punto mi sono detto "ok se tutte le canzoni sono così questo disco è troppo bello per essere vero". Ed infatti… ecco che arriva "Shine". Non si tratta di un brutto brano, anzi i cori a più voci che si fanno protagonisti della sua seconda metà sono interessanti e nell'insieme creano quasi una pausa dall'aggressione dei primi quattro brani, lasciando alle nostre orecchie tempo per respirare. Purtroppo però qualcosa non torna e il brano risulta essere leggermente troppo lungo. Ma ecco che poi tocca a "We Ride" che subito parte velocissima  e riprende la corsa verso la follia. Qui i nostri quattro sono davvero irrefrenabili e in due minuti e mezzo riportano l'intero album agli standard da cui era partito. "Possessions" aumenta, se possibile, il livello di follia. Al suo interno troviamo anche un coro di voci bianche a dare il suo contributo, scappa un sorriso al primo ascolto ma quando il brano raggiunge la fine non ridiamo più, abbiamo i brividi. "Two Weeks" invece è fin commovente e con la sua breve durata evoca immagini di bimbi che giocano sulla spiaggia. Una piccola pausa durante la quale possiamo tirare il fiato ed emergere dall'abisso di follia per assaporare un brano molto melodico e ben composto, a mio avvisto perfettamente inserito nel contesto. Anche "Thalamus" viagga sulle stesse corde, di nuovo molta melodia in un brano che suona molto come la conclusione di un viaggio. Al primo ascolto forse un po' più lungo di quanto ci si possa aspettare ma non per questo noioso. Ultimo brano ascoltabile, poi capirete perché, "Zen". Questa è la vera chiusura del disco nonostante si tratti della penultima composizione e risulta molto più immediata di tutte le altre presenti. A mio parere un ottimo brano, composto per far presente a chi lo ascolta che le persone con cui sta avendo a che fare non vanno prese alla leggera ("We are gods and demons" afferma Townsend). I titoli di coda sono affidati a "Info Dump", brano strumentale dalla lunghezza quasi infinita. Di fatto sono quasi dodici minuti di silenzio interrotto da rumori, preganti però da una paranoia latente che ci lascia un nodo allo stomaco. Se i brani che lo precedevano rispecchiavano la follia di Townsend e la sua rabbia, con questo ultimo ci immergiamo totalmente nella sua paranoia.


Si tratta di un disco davvero imponente, che va ad arricchire il mondo del metal estremo con elevate dosi di tecnica e qualità compositiva. Insieme al già citato "City" il picco più alto raggiunto dal quartetto canadese, con una produzione sopra le righe (diretta anch'essa dal tuttofare Townsend) e brani mai noiosi. Sicuramente un disco non per tutte le orecchie, ma per chi come me apprezza un po' di sana follia sarà difficile riuscire a separarsene.





01. Imperial
02. Skeksis
03. Shitstorm
04. Love?
05. Shine
06. We Ride
07. Possessions
08. Two Weeks
09. Thalamus
10. Zen
11. Info Dump

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