Metallica
St. Anger

2003, Elektra
Thrash

Recensione di Erik Molteni - Pubblicata in data: 22/08/10

Il 2003 non era un anno come tutti gli altri, quanto meno per i thrash metallers di tutto il mondo; infatti si attendeva con ansia il nuovo lavoro dei Metallica, la band californiana che nel bene e nel male ha fatto la storia della musica estrema. Scrivo questo perché dopo il (giustamente) celebrato “Black Album”, che ha conquistato fans e critica di tutto il mondo, la band di Hetfield e Ulrich è incappata in una crisi compositiva che ha fatto storcere il naso a non pochi adepti. Sotto la guida del controverso producer Bob Rock, la band ha compiuto una certa involuzione (per alcuni si tratta invece di un’evoluzione) che ha modificato sensibilmente il loro sound facendolo allontanare dalle sonorità delle origini e del “periodo d’oro”, rendendolo più commerciale e di facile impatto, meno duro ed in alcuni episodi più melenso. Tutto questo ha senza dubbio avvicinato nuovi fans alla band, ma nel contempo ha fatto sì che i seguaci della prima ora manifestassero il loro dissenso al punto tale da organizzare nel 2005 una petizione on line per chiedere l’allontanamento del produttore americano.
 

Per molti “St. Anger” doveva essere l’album della rinascita artistica della band, complici anche le dichiarazioni dei componenti stessi che sbandierarono ai quattro venti i loro propositi compositivi, decisi a regalare ai propri affezionati fans un album che riportasse i Metallica ai fasti del passato. Le cose però non si misero bene per il gruppo sin dall’inizio: poco tempo prima di mettere mano all’album, il bassista Jason Newsted lasciò la band e venne sostituito dallo stesso Bob Rock, in attesa dell’arrivo di Robert Trujillo; successivamente poi, il frontman James Hetfield iniziò una terapia riabilitativa per risolvere la sua dipendenza dall’alcool. Non possiamo di certo dire che l’ambiente in cui i Metallica si accingevano a preparare l’album della rinascita fosse dei più ospitali; tra l’altro emersero anche delle aspre divergenze, non solo musicali, come testimoniato dal documentario “Some Kind Of Monster”, di cui vi consigliamo la visione. Divergenze che portarono la band ad un passo dallo scioglimento, in un periodo in cui regnava il caos più assoluto.
 

Il risultato, viste le premesse, non poteva che essere negativo, e così è stato: “St. Anger” è probabilmente il peggior album che i Metallica abbiano inciso in trent’anni di onorata carriera; un lavoro che mostra in tutto e per tutto la confusione mentale e compositiva che regnava all’interno del combo. Sicuramente Hetfield & co. avevano recepito il malumore che serpeggiava tra i loro fans, avevano compreso di essersi allontanati troppo dal loro sound, il che li rendeva una band ibrida, una sorta di “via di mezzo” tra la dura thrash metal band che aveva imperversato negli anni Ottanta e il gruppo hard rock con influenze blues della decade successiva. I Metallica avevano poi cercato di raddrizzare le cose con due buoni lavori come “Garage Inc.” e “S&M”, operazioni che in fin dei conti però sono risultate essere puramente commerciali; in sostanza il loro pubblico rivoleva le sonorità dei primi lavori, incorporate in brani che hanno indelebilmente inciso il nome della band nell’Olimpo dell’heavy metal.
 

A conti fatti “St. Anger” è un lavoro di difficile decifrazione: la produzione risulta scarna e a dir poco essenziale; il buon Bob Rock giustificò la cosa affermando che era quello che la band voleva, cioè rendere l’idea di una registrazione fatta nel garage di casa, come spesso facevano gli stessi Metallica agli inizi della loro sfolgorante carriera, ed in tal modo richiamare le atmosfere degli anni Ottanta. Scelta, alla luce del risultato, a dir poco opinabile soprattutto perché si coniuga con due particolarità che hanno fatto storcere il naso a fans e critica: in primo luogo la totale assenza di riffs, il che contribuisce non poco al difficile ascolto a cui l’album ci mette alla prova; poi l’accordatura della batteria di Ulrich che definire insolita appare quasi un eufemismo: un suono vuoto e secco, l’esatto contrario di quanto fatto sino ai lavori precedenti. La prova di Hetfield dietro al microfono poi, è decisamente sotto tono, complici i vocalizzi urlati per tutta la durata dell’album. Spiace dirlo ma anche dal punto di vista del songwriting, la band ha estratto il peggio di sé, con testi fiacchi e di poco spessore. Difficile trovare un brano che possa rimanere nella mente dell’ascoltatore, e di questo se n’è accorta anche la band visto che nel tour di supporto all’album venivano eseguite solamente “Frantic”, “St. Anger”, “Dirty Window” e “The Unnamed Feeling”, addirittura in alcune date vennero riproposti solamente i primi due brani; mentre dal 2006 in poi nei tour dei Metallica non vi è più traccia di un brano estratto da “St. Anger”.
 

Tutto questo può bastare per far capire quanto questo album abbia convinto poco gli stessi suoi creatori, che si sono trovati su una nave prossima all’affondamento; non furono in pochi a decretare, con questa release, la fine della band californiana. Fortunatamente le cose poi sono andate diversamente, anche se oggi dobbiamo sottolineare come i fasti del passato siano parecchio lontani; come del resto oggi dobbiamo decretare la netta bocciatura di “St. Anger”.





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