Franco Battiato
Apriti Sesamo

2012, Universal/Mercury
Pop Rock

"Ah! Come t'inganni se pensi che gli anni non hann' da finire, è breve il gioire"... ciò, tuttavia, non giustifica la fretta!
Recensione di Fabio Rigamonti - Pubblicata in data: 29/10/12

Se avete avuto modo di assistere alla presentazione di questo “Apriti Sesamo” – ventottesimo album in studio di Franco Battiato – oppure avete sentito qualche intervista promozionale in radio, non vi sarà sfuggito il fatto che il cantautore siculo abbia insistito molto nel dire che questo disco lui non l’avrebbe fatto uscire adesso, ma avrebbe aspettato ancora un po’. Non che sei anni di silenzio (intramezzati dall’ardito esperimento “Inneres Auge”) dallo scorso “Il Vuoto” siano poi pochi, ma è anche vero che, a sentire l’esito dell’operazione, le ragioni paiono stare tutte dalla parte dell’artista.

Cominciamo col dire che questo disco suona decisamente più lineare e “suonato” rispetto agli incisi precedenti, con tanto di ripresa delle prime influenze prog ed una maggiore inclinazione all’uso della band rispetto a quello dei synth e dell’arrangiamento orchestrale (in genere molto soffuso ed assai raramente soverchiante); in un certo senso, “Apriti Sesamo” è anche molto più compatto rispetto a “Il Vuoto”, album riuscito solo in parte grazie alla presenza di alti di eccezionale magnitudo, e bassi di vertiginoso nulla (o vuoto sarebbe meglio dire, visto il contesto). Ciononostante, qui di alti se ne sentono gran pochi, ci si azzarderebbe quasi a dire che non ci sono o, più precisamente, che non sono al livello delle migliori incisioni del passato – anche recente - di Battiato.

Giusto il bolero di “Testamento” (ispirato da un poema della grandissima Laura Vinciguerra), la rielaborazione minimal-electro della “Passacaglia Della Vita ” di Stefano Landi (colui che segnò il passaggio tra la musica del ‘500 e quella del ‘600), il beat circostanziale ed esistenziale di “Quand’ero Giovane” e - su tutto quanto citato finora – il duetto di brani ispirati ai lisergici suoni striscianti della “Gommalacca” (“La Polvere Del Branco”, animata da divina nonché sentita interpretazione, e “Caliti Junku” con quella miscela irresistibile di sacro barocco e profano folk siculo): ecco quanto si può salvare con una certa sicurezza da questo inciso.

Tutto il resto sono brani in cui è chiaro che una maggiore cura e ricercatezza della linea melodica avrebbe assai giovato, visto che pare ascoltare un Franco Battiato che coverizza poveramente Franco Battiato. Persino le liriche, da sempre marchio vincente del cantautore, qui risultano interessanti in sin troppo pochi frangenti, essendo per la maggior parte disperse nell’autocitazionismo sterile che sa tanto di predica messianica di carattere cattolico (contante quante volte sentirete il termine “reincarnazione” e sinonimi in 37 minuti di musica) e, per il resto, in banalità che da uno Sgalambro difficilmente ci saremmo aspettati (“Eri con me, ma io non ero con te / Sei con me, ma io non sono con te / Ero con te, ma tu non eri con me”), anche se, ovviamente e fortunatamente insieme, versi da segnarsi dentro per la vita sono presenti anche in quest’opera.

Quindi, possiamo tranquillamente affermare che la fretta è una cattiva consigliera, e lo è tanto più se agisce sui maestri e tra i cantautori più talentuosi e geniali che la nostra contemporaneità abbia offerto. Il voto che vedete lì in fondo è relativo alla discografia di Franco Battiato, mentre in termini assoluti mezzo punto in più ci può anche stare, ma non di più. Conforta, a questo punto, unicamente il pensiero che una carriera a dir poco brillante non può essere chiusa da un disco di siffatto livello, per cui attendiamo buone nuove quanto prima. Anche se ciò non significa affatto con fretta.  Perché già molte volte in passato, caro Francesco, ha inascoltato sistematicamente “La Voce Del Padrone”, non vedo perché lei non debba farlo anche adesso.




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