Architects
Daybreaker

2012, Century Media Records
Metalcore

Recensione di Lorenzo Zingaretti - Pubblicata in data: 12/06/12

Forse è una mia impressione, ma negli ultimi tre-quattro anni mi sembra che i gruppi siano sempre più prolifici. Il problema qui è che spesso queste continue uscite di nuovi album nascondono il “male” dietro l’industria musicale attuale, che forza le band a sfornare album a distanza di poco più di un anno per evitare di cadere nel dimenticatoio e cercare di sfruttare l’onda lunga del successo, o in altre parole di “mungere la vacca finché è grassa”. Ora non so quale sia la logica seguita dagli Architects, band metalcore da Brighton, Inghilterra, che dopo aver dato alle stampe il discusso “The Here And Now” nel gennaio dello scorso anno, riappaiono immediatamente sulle scene con questo “Daybreaker”. L’ipotesi che mi sento di avanzare è che dopo le critiche ricevute per il loro lavoro del 2011 (un disco, a parere di chi scrive, comunque godibile, ma attaccato dai fan di lunga data perché spostato eccessivamente verso il lato melodico) i nostri possano aver sentito il bisogno di rimettere le cose al loro posto e riaffermarsi come una delle formazioni di punta della nuova ondata metalcore.

In effetti “Daybreaker” può essere descritto, a chi voglia venire introdotto brevemente all’album, come una intelligente fusione dei suoi due predecessori, da una parte quell’“Hollow Crown” che aveva messo definitivamente gli Architects sulla mappa e che continuava sulla scia degli esordi del gruppo, cioè un metalcore piuttosto pesante e contaminato da strutture “math” con sporadiche aperture melodiche, e dall’altra il già citato “The Here And Now”, che come detto ribaltava le carte in tavola. Dopo l’inizio atmosferico affidato all’opener “The bitter end”, gli Architects estraggono dal cilindro la doppietta “Alpha Omega” e “These Colours Don’t Run”, due simboli di questo nuovo percorso, tra le sfuriate hardcore (e il ritorno di quegli elementi math) e i convincenti ritornelli in clean a suggellare il punto di incontro tra le due facce del sound della band. Un’altra accoppiata da leccarsi i baffi si trova a metà disco, rappresentata da “Even If You Win, You’re Still a Rat” e “Outsider Heart”, due tracce che vedono rispettivamente la partecipazione di Oli Sykes dei Bring Me The Horizon e Drew York degli Stray From The Path, due schegge hardcore che si adattano benissimo agli inteventi degli ospiti e mostrano il lato più diretto degli Architects. “Devil’s Island” riprende il filo conduttore dell’album, di nuovo mescolando i vari elementi del gruppo, mentre qua e là fanno capolino pezzi completamente votati alla melodia, tra i quali spicca senza dubbio per qualità la chiusura affidata a “Unbeliever”.

Questa sorta di nuovo corso degli Architects necessita di un accenno a livello tematico, poiché i ragazzi di Brighton sembrano aver affrontato una presa di coscienza che li ha portati a toccare argomenti scottanti come politica e religione: gli esempi migliori si trovano in alcune delle canzoni già citate, ad esempio “Alpha Omega” che si scaglia contro le bugie di chi estremizza la fede nel divino, o “Devil’s Island” che parla direttamente delle rivolte della scorsa estate in Inghilterra. E lascia pochi dubbi la stessa “These Colours Don’t Run”, un attacco diretto alla società odierna, con un occhio alla religione e uno ai disastri economici (in un tono che mi ha fatto venire in mente una parola, rapacità, cioè il “greed” reso immortale a livello cinematografico da Erich von Stroheim negli anni ’20 e che resta d’attualità in modo spaventoso).

Se dunque l’obiettivo era quello di rimettersi in discussione dopo l’ammorbidimento del disco precedente, gli Architects hanno fatto decisamente centro, ed è importante sottolineare come siano riusciti a ritornare su binari a loro più consoni senza però tradire del tutto la svolta melodica. “Daybreaker” è un disco che può rappresentare un perfetto antipasto per chi voglia conoscere la band inglese, perché come detto è capace di mescolare le due anime in maniera omogenea; ma allo stesso tempo sarà di certo gradito ai fan più affezionati perché non si limita a guardare al passato ma pone le basi per un futuro che può garantire un posto di primo livello nell’universo metalcore.



Intervista
Anette Olzon: Anette Olzon

Speciale
L'angolo oscuro #31

Speciale
Il "Black Album" 30 anni dopo

Speciale
Blood Sugar Sex Magik: il diario della perdizione

Speciale
1991: la rivoluzione del grunge

Speciale
VOLA - Live From The Pool