Prendete i più classici fra i blues guitarist, provate a farne la sintesi più frizzante che vi viene in mente e vi potrete fare una vaga idea di come suona il quarto LP della carriera del canadese Philip Sayce. "Steamroller" è soprattutto Jimi Hendrix, a tratti un Lenny Kravitz rampante, talvolta un heavy blues alla Stevie Ray Vaughan.
Fare blues prescindendo dalla tradizione è pressochè impossibile, difatti per far sì che lo stesso schema d'accordi funzioni meglio di quello della concorrenza la chiave è tutta una in una questione di gusto. Ma nel caso del gallese c'è soprattutto grinta. Per capirci, c'è più rock che blues nell'attitudine generale di questo album gasato e spumoso, tanto che certi pezzi come "Black Train" sembrano martellete dei Wolfmother. In questo menù che promette bontà senza sorprese, almeno un pezzo merita la pacca sulla schiena: "Rhythm and Truth", hard rock che a metà esecuzione opera un vertiginoso cambio di ritmo: è il pezzo durante il quale vorresti trovarti in mezzo alla calca. A tratti, addiruttura, le soluzioni blues vengono trattate con l'attitudine del primo Heavy metal, laddove potrete facilmente riconoscere i Black Sabbath in una "The Bull". Il lato delicato di una "Bell Bottom Blues" di Eric Clapton, invece, rivive nel pacato plagio di "Holding On". Infine c'è da dire che mancano, per la maggior parte delle tracce, perle di vero virtuosismo: lo stile di Sayce tende a essere muscolare anche negli assoli; poco interesse quindi per gli appassionati di tecniche sopraffine.
Steamroller fa la felicità soprattutto di quanti concepiscano il blues come una questione di energia più che di tocco o di virtuosismo: passando da Eric Clapton fino ad arrivare alla rocciosità dell'hard rock, il disco tiene buona compagnia senza affaticare.