Articolo a cura di Daniele Brigante
La stagione dei concerti estivi è alle porte ed a Rimini, in un umido martedì di giugno, il punk bussa prepotentemente alla porta, con il pugno di ferro, direttamente dall' America, arriva il Punk Rock Summer Nationals, uno tsunami inarrestabile con 3 band che cavalcano l'onda da trent'anni.
I cancelli aprono presto, la coda è lunga e già dall'esterno si intuisce che la giornata sarà memorabile. Il piazzale è fradicio ma il cielo è limpido, la tempesta è passata o forse sta solo per arrivare.
Poco dopo le venti il sole è ancora alto e le casse iniziano a suonare, il backdrop con un'aquila che sgancia un siluro descrive esattamente quello che sta per capitare, sul palco sale la prima band, i Good Riddance con le loro bombe. Il batterista fa capire subito che è venuto a Rimini per comandare, picchia duro ed il pubblico si sveglia subito, comincia lo show, comincia il pogo, comincia tutto.
I californiani sanno il fatto loro, alternano pezzi storici a brani più recenti, ma il risultato è sempre lo stesso, la gente vola... ed è solo l'inizio.
Dopo quarantacinque minuti è ora di una pausa, la birra attende e il cuore galoppa alla vista del palco, sale la bandiera dei Pennywise, ora tocca a loro ed il pubblico si infiamma.
I quattro sembrano in gran forma, gli anni passano per tutti, ma l'energia a loro non manca. Il frontman Jim Lindberg come un torero nell'arena, con la sua maglia rossa aizza il pubblico talvolta anche con dei "vaffanculo" in un quasi perfetto italiano.
Le canzoni scorrono veloci, con prevalenza per i vecchi successi, tutto quello che i pazzi in platea vogliono sentire, tra Fuck Authority e Living For Today, passando addirittura per un tributo ai Nirvana, sulla quale i cinquemila si son fatti sentire. Finisce presto anche il loro tempo a disposizione e in chiusura i quattro piazzano la più attesa Bro Hymn, dedicata alle vittime dell'assurdo attentato di Orlando. Il coro sale e l'anima del punk si schianta sotto palco, dove un groviglio di umani si scontra senza pietà.
Cala la musica, è l'ora della birra e dei cerotti.
Ora è il tempo dei boss, il palco si tinge di The Offspring, si corre il più vicino possibile e si attende, il cambio palco serve a prendere fiato.
Poco dopo le dieci e mezza il buio avvolge tutto, il palco si illumina e arrivano i californiani a dettare legge, lo fanno ormai da metà degli anni Ottanta, la linea non è più la stessa, ma la grinta è la medesima, come la testa ossigenata di Dexter.
La scaletta fa contenti tutti, riproponendo le greatest hit che hanno fatto storia, si inizia con You're Gonna Go Far, Kid e per scaldare per bene il pubblico non c'è niente di meglio che Come Out And Play passando per Staring At The Sun, Bad Habit.
Il cantante non ha più vent'anni ma tiene botta alla grande anche grazie al pubblico che canta a squarciagola. I balli si alternano al pogo selvaggio e l'atmosfera è calda.
Lo show prosegue perfetto per arrivare al culmine con Pretty Fly (For a White Guy) con la quale mandano in delirio un paio di generazioni.
Ormai siamo al termine, il treno è arrivato in stazione, la chiusura spetta a The Kids Aren't Alright e le ultime ossa si frantumano.
Stop.
Anzi no.
Dal pubblico sale un coro che intona Self Esteem, manca solo quella. Dopo qualche istante le star si riaffacciano per il bis, giusto un paio di canzoni, chiudendo proprio con Self Esteem.
Tutti a casa! Contenti.