- Fosse facile... Servono attrezzature e artisti soldi. Molti soldi.
- Chiediamoli alla gente!
- E perché mai dovrebbero finanziare un festival che non esiste?
- Ma esisterà, proprio grazie ai loro soldi!
- Okay. E come paghi i tecnici del suono? La sicurezza? Chi dovrebbe lavorarci, come lo paghi?
- Non lo pago! Sará un festival basato sul volontariato; come nelle autentiche comunità hippie.
- E perché degli artisti vorrebbero suonare in un festival allestito da non professionisti?
- Perché sarà un festival unico al mondo!
Il Festival
Correva il 1971 quando due liceali di Roskilde decisero di cavalcare l'onda idealista sessantottina - la stessa che, nello stesso periodo, determinò la crescita di Christiania nella vicina Copenaghen - e dare uno scossone alla cultura giovanile scandinava organizzando la prima edizione del festival di Roskilde. Liberalismo, pacifismo, comunione e condivisione sono le fondamenta sul quale il festival viene costruito, le stesse su cui si baserà negli anni a seguire e che, in un modo o nell'altro, sono sopravvissuti fino ai giorni nostri.
Basti pensare che a tutt'oggi sono i cinquantenni che assistettero alla nascita del festival a costituire la fetta principale dei volontari che ne garantisce il funzionamento. Sono loro a danzare sotto la pioggia con le camicie fiorate, scuotendo i lunghi capelli, loro ad offrirsi di aiutarti a montare la tenda offrendoti una Tuborg, e poi a sedersi con te a discettare di musica. Sempre loro i primi a piantare la tenda e gli ultimi a smontarla; e quando vedono un ventenne con il viso triste, o quantomeno con la mente altrove, sono loro che lo fermano e con aria severa e gli ordinano: "ora sorridi, e divertiti!".
Questa è la vera anima del festival di Roskilde e la ragione per cui è sopravvissuto fino ai giorni nostri con lo stesso spirito, sorretto da 25000 volontari ogni anno (per 125000 ospiti paganti) mentre nel mondo centinaia e centinaia di band fanno a gara per suonarci.
"Bon Jovi sono anni che ci prova, ma non lo vogliono".
"Ah, e perché?"
"Non lo so. Si vede che non piace agli organizzatori. Povero ragazzo, sembra tanto una brava persona" - scherza John, metà tedesco e metá scozzese, al suo ventiseiesimo festival di Roskilde.
D'altro canto, gli stessi ideali di libertà e condivisione che fanno da motore al festival sono anche quelli che rischiano di rovinarlo, estremizzati dalle nuove generazioni. La traduzione in chiave nuovo millennio di "niente regole" troppo spesso si trasforma in troppo alcool mischiato ad ogni genere di droga. Per qualcuno Roskilde è un festival in cui ci si può permettere di tutto arrivando perfino a rovinare quello stesso ambiente paradossalmente tanto caro ai fondatori. Il risultato è una malcelata ipocrisia di fondo. Se infatti il festival sfoggia slogan del calibro di "no drugs" e "clean out loud" in pratica poi ci sono ventenni che muoiono sotto l'effetto di stupefacenti e ragazzini che si lasciano dietro scie di bottiglie destinate alla pazienza della squadra di volontari che, quotidianamente, girovaga per i campeggi in cerca di metallo e vetro da riciclare. Sebbene tutto ciò lo renda un festival unico nel suo genere, la musica rischia però di passare in secondo piano. Ciò nonostante, ad oggi, artisti appartenenti ad ogni genere musicale fanno a gara per avere un paio d'ore di spazio su uno dei suoi palchi.
La musica
Il clima contradditorio che caratterizza l'atmosfera del festival si rispecchia proprio nei concerti. Ogni anno Roskilde ospita qualche migliaio di artisti in totale e vanta un'ecletticità impressionante. Capita dunque di assistere a un concerto degli Slayer giusto un paio d'ore prima di sentire i Red Hot Chili Peppers proprio sullo stesso palco in cui Ghost e Tenacious D sarebbero apparsi il giorno seguente. Piú che un festival, Roskilde è un grande Expo in cui ci si ritrova a scegliere se piazzarsi al padiglione degli M83 o dei Meshuggah.
Le danze si aprono il mercoledì pomeriggio con un ottimo spettacolo degli Slayer che suonano dopo dei Bring Me The Horizon piuttosto sotto tono. Nonostante qualche pecca nel sound (problema ricorrente del festival di Roskilde considerate le premesse e la varietà di generi di cui tenere conto), il concerto degli Slayer sorprende per l'energia dei musicisti e del pubblico. Seguono gli headliner della giornata: i Red Hot Chili Peppers. La band suona per un paio d'ore scarse sul famigerato Orange Stage - l'imponente colosso progettato per più di sessantamila spettatori, ai piedi del quale nel 2000 si consumò la morte di nove ragazzi durante l'esibizione dei Pearl Jam.
Gli headliner della giornata purtroppo non soddisfano le aspettative. Generalmente i musicisti percepiscono un'esibizione a Roskilde come un onore e un privilegio e tentano di appioppare agli spettatori lo show della vita; Anthony Kiedis invece sembra annoiato, come se stesse svolgendo i compiti delle vacanze e non vedesse l'ora di salutare tutti e tornarsene a casa. La sua voce è spesso smorzata e l'interazione con il pubblico nulla. Il tutto aggravato da un sound tutto fuorché ineccepibile.
Epica invece l'esibizione di PJ Harvey il giovedì sera che, suonando su uno dei palchi secondari (l'Arena: capacità approssimativa di 10.000 persone), crea un'atmosfera intima e molto coinvolgente. Ancora problemi di sound invece per i Tenacious D che vedono addirittura il volume azzerarsi del tutto per qualche secondo. Questo non ferma però la spassosa ironia di Jack Black, che lascia tutti gli spettatori ammaliati sebbene la band non sia proprio popolarissima in Scandinavia.
Interessante anche l'esibizione dei Ghost, un po' penalizzata dall'orario - le due di notte - che scoraggia molti potenziali spettatori.
A rivendicare il rock ucciso da Anthony Kiedis ci pensano i Biffy Clyro alle quattro del venerdì pomeriggio, con un Simon Neil che accompagna ogni pennata sulla chitarra con un'energia fuori dal comune e un rigore maniacale. Indubbiamente, i Biffy regalano uno dei migliori concerti dell'edizione 2016.
Un discorso a parte va fatto per Neil Young. Dire che l'uomo di Woodstock suoni bene e con passione è superfluo, per non citare l'esperienza live accumulata negli anni, perfino sullo stesso Orange Stage. Il tratto distintivo della sua performance, quello che la rende indiscutibilmente magica, sta nel pubblico: gruppi di quindicenni in adorazione a pochi metri da ottantenni solitari in piedi sotto la pioggia con le lacrime agli occhi, immobili, ad ascoltare il concerto di una vita. Con Neil Young il tempo si ferma e il 2016 si fonde con il 1969 per tre ore filate, regalando indescrivibili emozioni a tutti gli ascoltatori.
Notevole anche l'esibizione dei Meshuggah in tarda notte sul piccolo palco dell'Avalon. Complice l'amosfera surreale che caratterizza il palco stesso e il limitato numero di spettatori - circa un migliaio.
Messo un attimo tra parentesi Neil Young, comunque fuori scala, l'esibizione regina di Roskilde 2016 è probabilmente quella dei Dizzy Mizz Lizzy che, nonostante nel resto d'Europa siano piuttosto sconosciuti che stanno alla Danimarca come Guglielmo Tell sta alla Svizzera. I Dizzy sono stati consacrati come mostri sacri del rock scandinavo proprio durante un festival di Roskilde (2010) e l'Orange Stage è la loro seconda casa. Ahimè questa risulta un'arma a doppio taglio dato che dopo le prime due canzoni in scaletta dilaga un certo scetticismo - Okay, che è casa vostra, ma almeno alzatevi dal divano! Fortunatamente, dopo un inizio con troppo blando, la band si riscatta incantando la platea con una presenza scenica sensazionale ed un esibizione fuori dal comune; tre musicisti tanto eccezionali da sembrare dieci alle
orecchie di chi li ascolta; assoli taglienti, batteria impazzita e un pubblico in delirio.
È opinione diffusa che dopo l'esibizione dei Dizzy il festival sia moralmente concluso dato che la magia è ormai già alle spalle. Invece no, ci pensano i Gojira a ricordare che c'è dell'altro: c'è infatti ci è venuto dalla Francia per ribadire al mondo quanto il metal possa essere linguaggio universale e quanto una perfetta tecnica possa sposarsi perfettamente ad un assoluto carisma. Altra esibizione che, inaspettatamente, ha stregato tutto Roskilde classificandosi tra le migliori in assoluto.
Cosa rimane
- Hey, anche tu sei tra i volontari di Roskilde! Ma è fantastico! Dove lavori?
- Sí, è il secondo anno. Sono nella squadra del riciclo, raccogliamo le bottiglie di vetro e le sedie che rendono questo festival un'enorme discarica. Tentiamo di limitare i danni. Tu che fai?
- Io sono nei media.
- Oddio, nei media? Quindi scrivi recensioni? Oppure sei un fotografo? Ma è splendido, sai, scrivo anch'io! Che concerti vai a sentire oggi?
- Solamente i Red Hot Chili Peppers.
- Ma come? Ci sono gli Slayer e i Grammatik poco prima. Sono sicura che saranno due spettacoli magnifici!
- Eh ma non farei in tempo! Devo finire la mia bottiglia di rum prima di entrare nell'area concerti perché, capisci, voglio essere totalmente ubriaco una volta lí! Non riesco ad essere lì prima degli Slayer. Insomma, mi capisci.
Ognuno, ogni musicista, ogni appassionato di musica, lascia il festival di Roskilde mediamente soddisfatto ma con una triste e radicata amarezza di fondo. Per una settimana i migliori artisti del mondo passano per la cittadina danese, fper regalare show magnifici e, nonostante ciò, la musica in sé è una questione del tutto secondaria. Si ha infatti l'impressione che, per le nuove generazioni di scandinavi, Roskilde non sia altro che un pretesto per sballarsi. Le regole vengono cancellate, comprese quelle base per una convivenza civile. E così ci si ritrova ad assistere ad episodi razzisti e sessisti, nonché a scene strappalacrime di adolescenti consumati dall'alcol. Roskilde 2016 si chiude con un morto e cinque stupri sulla coscienza, e viene naturale chiedersi se davvero ci sia ancora una ragione idealista tanto forte da giustificare l'esistenza di questo festival.
La risposta è da cercare negli ottantenni in lacrime davanti a Neil Young, in una famiglia di tre generazioni che guarda gli Slayer, nei cinquantenni al ventiseiesimo festival che aiutano a montare le tende dei più inesperti, negli hippie che ballano sotto la pioggia, nelle squadre di volontari che la mattina raccolgono le macerie dei festeggiamenti altrui, nei ragazzi che sorridono e ti chiedono da dove vieni. Il festival di Roskilde è uno scontro di ideali e di generazioni che rispecchia perfettamente la società moderna, perennemente in bilico tra il piacevole e l'estremo, tra il giusto e lo sbagliato.
A cura di Marta Scamozzi