Alzi la mano chi associa almeno una canzone degli OneRepublic a un momento catartico. Parlo di roba da lacrimoni, o fiato sospeso, in fibrillante attesa delle svolta epocale di un telefilm. Ebbene, ieri sera di manine alzate ce n'erano parecchie, incluse (entrambe) le mie.
Saltati fuori dal nulla, sul finire degli anni 2000, gli OneRepublic hanno conquistato rapidamente un'enorme fetta di pubblico a suon di canzoni orecchiabili ma energiche, ballad strappalacrime e live esplosivi, proprio come ieri sera a Piazzola Sul Brenta.
Ad aprire l'Hydrogen Festival, che ormai da qualche anno movimenta le serate venete, è stata infatti la band statunitense. Unico appuntamento italiano del Native Tour dopo le due date cancellate, all'ultimo tuffo, lo scorso anno.
Arriviamo in zona che c'è già una bella folla sotto palco. Sopra invece si sta esibendo una band italiana che, nonostante l'impegno profuso a scoprirne di più, ci rimane sconosciuta. Non male, almeno per quei due brani che abbiamo potuto sentirne. Peccato che il volume del microfono della vocalist fosse leggermente eccessivo e sovrastasse tutto, quasi cantasse senza band.
Difetto prontamente corretto per i The Last Internationale, trio di New York, protetti di Tom Morello in cui milita, alla batteria, Brad Wilk. Plauso ai tre, che sono riusciti ad accaparrarsi i favori dei presenti pur offrendo un genere poco inerente agli headliner, trattandosi di un mix di folk, punk, rock anni 70 e controcultura hippie. Alla voce e basso una giovane Delila Paz che, presa in mano la situazione quasi fosse una piccola Patti Smith, ha incantato il pubblico che via via è andato affollando l'arena. Le sonorità rock vecchia scuola magari non erano proprio appropriate a far da apertura a una band così distante come gli OneRepublic ma l'energia era la stessa. Quindi tanto di cappello ai The Last Internationale, band da tenere sotto controllo perché c'è del potenziale, sia nel disco che sul fronte live.
Dopo un cambio palco sorprendentemente rapido e puntuale, inizia il set da quasi due ore degli americani. Le luci si spengono e, dietro all'enorme telo bianco che copre il palco (per orrore e raccapriccio dei fotografi inerpicati sui piedistalli della recinzione dell'area mixer), si accendono dei fari a proiettare le ombre dei nostri. Comincia dunque un lungo concerto che, fin da subito, colpisce per la propria verve.
Insomma, un concerto con la C maiuscola, coinvolgente ed energico, come già detto, ma con un grande difetto: setlist troppo sbilanciata sul nuovo album. Tanto da escludere piccoli capolavori come "All This Time", di cui, personalmente, ho sentito la mancanza. C'è da dire che una "Apologize" solo voce e piano e il fatto che, dopo tanti anni, "Stop And Stare" trovi ancora spazio abbiano soffocato qualsiasi lamentela. Per non parlare di una "What A Wonderful World" che, seppur inflazionatissimo patrimonio dell'umanità, è stata magnificamente interpretata da Tedder.
Positiva apertura per l'Hydrogen Festival e ottima prova per gli OneRepublic che sono infine riusciti a farsi perdonare il pacco tirato in precedenza.