Chitarra e microfono. Non è servito altro ieri sera al Circolo Mame per la doppia esibizione di due artisti culturalmente e potenzialmente lontani, che hanno saputo emozionare allo stesso modo i presenti, puntando tutto sull’essenzialità delle sei corde. A tal punto che il palco è diventato un piedistallo quasi scomodo per la condivisione di melodie tanto suburbane quanto boschive, trasportate tra luci fisse e amplificatori da due ambasciatori del necessario: Neil Halstead e Giulio Frausin.
La serata è una piccola serata dalle grandi occasioni, come quando, alzando gli occhi al cielo stellato, si individua immediatamente la costellazione desiderata, nella miriade di disegni celesti. La prima è quella capitata al pordenonese bassista dei Mellow Mood, noto anche come The Sleeping Tree, il quale con la riproposizione dell’ultimo disco “Painless” diffonde la sua lineare tesi sulla vulnerabilità dell’animo umano. O dell’umano animale. In un paio di sorrisi – e con l’ausilio di un tamburello – sono condensati i pensieri di una vita.
“I’m kind of trying to get out of here
I’m trying to get rid of foolish ideas
‘Cause for so long I’ve been treating my heart like a ghost
And I’ve been seeking the words that I lost”.
La seconda è quella di chi assiste al lato frontale di Neil, a due metri da ciò che il songwriter britannico rappresenta. Lo Shoegaze rimane a casa, sostituito dall’unico Pick Up, magnetico ponte tra dita e atmosfera. Il frontman con il cappellino cambia accordatura ad ogni brano, proponendo il meglio di quanto registrato fino ad ora: “Oh! Mighty Engine” e “Palindrome Hunches” di due anni fa.
“You’re drinking on your own
Running for the coast, running from those ghosts
Running away girl
With one eye to your past”.
Ancora fantasmi, ancora demoni del nulla, la contrapposizione terrestre di ciò che non si può afferrare e viene inteso come entità invisibile ed incomunicabile, concetto per cui lo strumento è l’unico cardine di diffusione emotiva.
Neil Halstead, nella sua settimana italiana tra Ravenna e Roma, non è passato a Padova per caso: tornerà quest’estate per uno degli eventi più attesi dalla cittadinanza, ovvero il concerto dei suoi ritrovati Slowdive all’interno del Radar Festival, un’altra produzione Movement. Ieri sera, in una preview intima ed atipica, ha rivelato, per il piacere dei fans, la dimensione personale e distaccata della sua arte: un regalo da custodire per non dimenticare che, per quanto un cantautore possa raggiungere la fama, la semplicità di quelle sei corde continua a ridimensionare e ad ispirare. Un soggetto fisso di un panorama in mutazione perpetua.