Giorno 1
Di nuovo qua, per la settima volta in sette anni. Ne abbiamo viste di cotte e di crude nel corso di queste sette edizioni a cui abbiamo presenziato, e ci siamo affezionati prima al Metal Camp e ora al MetalDays festival, ora giunto alla terza edizione sotto il nuovo moniker.
Molte cose sono cambiate, spesso in meglio, raramente in peggio. Essendo qua da venerdì 17, siccome abbiamo approfittato della possibilità dell'arrivo anticipato, abbiamo potuto notare alcune cose che quest'anno sono effettivamente migliorate, ma anche altre che non ci sono propriamente andate a genio. Una di queste è stata la riduzione drastica delle così dette "Hell's Kitchen", ovvero i punti di ristoro. Negli ultimi anni la loro offerta era aumentata ad ogni edizione, con moltissime opzioni che andavano dalla colazione all'inglese ai pasti tipici locali, uno diverso ogni giorno, per offrire un po' di Slovenia in più oltre all'area geografica. Ecco, quest'anno questi punti di ristoro sono stati ridotti da quattro, uno di quali esclusivamente vegan, a due soli, tra cui quello appunto vegano giù in spiaggia. Oltretutto l'offerta è stata tagliata, tant'è che non offrono più la frutta fresca (facilmente reperibile al supermercato) e il pasto tipico sloveno è stato tolto. Anche l'Hell's Kitchen dell'area palco è stata eliminata, in favore di un più spartano punto ristoro con un'offerta nettamente inferiore. Questo ha notevolmente ridotto le code per la cena o uno spuntino a fine concerti, ma lo stesso siamo un po' delusi. Almeno la qualità è comunque molto alta, e la varietà la si più trovare vicino al second stage, dove sono rimasti invariati lo stand del pizzaiolo e il ristorante indiano. Al contrario sono aumentate le offerte lungo la via per l'area palco. Un compromesso non proprio felice, ma pare funzionare, per ora. Resta il fatto che purtroppo da questo punto di vista sembra quasi una mossa atta a risparmiare il più possibile.
Oltretutto essendo qua da qualche giorno abbiamo notato, sempre dal punto di vista organizzativo, una decisa mancanza di comunicazione tra membri dello staff, cosa che ha portato a parecchie persone, noi inclusi, a piantar le tende in aree apparentemente non riservate ma che in realtà erano appannaggio di chi aveva prenotato l'area per un gruppo di persone molto nutrito. La possibilità di arrivare prima è una gran cosa, permette di arrivare e scegliersi il punto dove campeggiare con un certo grado di strategia (roba che neanche giocando a Risiko), ma se manca la comunicazione tra lo staff la cosa diventa parecchio confusionaria. C'è da dire che sembrano essersi ripresi in fretta, e che la security è aumentata parecchio, in seguito alle frequenti segnalazioni di furti lo scorso anno.
Dobbiamo però mettere l'accento sul fatto che quest'anno i punti dove è possibile raccogliere gratuitamente acqua potabile sono triplicati, così come i le docce calde e i bagni non chimici. Le fontanelle per l'acqua potabile sono state messe non solo in fondo all'area del main stage, ma anche nel second stage e giù al fiume, permettendo ai metallari assetati di sopravvivere all'arsura di questi giorni (temperatura media 33 gradi) senza rischiare malori dovuti a disidratazione o temperature troppo elevate. C'è da dire che il fiume aiuta tanto e che la frequenza delle rive sassosse dell'Isonzo e del Tolminka nel punto in cui essi confluiscono è sempre bella nutrita. Ed è sempre divertente vedere metallari grandi e grossi armati di salvagente o braccioli coloratissimi nuotare come anatre nelle chiare acque dei due fiumi, o sfidare le "rapide" su gommoni a forma di coccodrillo o, stando alla moda del momento, di ciambella di Homer smangiucchiata.
Abbiamo inoltre notato l'alta presenza di famiglie con bambini anche molto piccoli, sempre ben protetti con la protezione per le orecchie e praticamente ricoperti di crema solare. La natura rilassata, languida e pigra che contraddistingue il MetalDays - oltre al fatto che i bambini sotto i 12 anni non pagano - permette anche questo: in fondo il MetalDays è un evento non solo dove poter ascoltare musica ma anche dove poter semplicemente staccare la spina. E un po' di vita all'aria aperta senza le comodità tipiche delle nostre case non può che far bene anche ai più piccolini.
Ma veniamo alla ragione di questo live report. Lunedì 20 è stato il primo giorno di concerti dopo due giorni di earlyarrival e uno di warm up, dove la stragrande maggioranza degli avventori si è palesata in quel di Tolmin, Slovenia.
La nostra avventura è iniziata con gli Anvil, trio heavy metal autori di 50 minuti di set molto contrastanti. Il primo quarto d'ora è corso bene, senza intoppi, con un paio di brani recenti e uno un po' più vecchiotto, ma al quarto pezzo i tre canadesisi sono lanciati in quasi venti minuti di assoli e parti strumentali, praticamente interrompendo la setlist con un buco nero di nulla cosmico e cretinate che potevano risparmiarsi o quanto meno tagliare. Cinquanta minuti non sono tanti, sfruttarne venti in questo modo ci è sembrato uno spreco.
Di tutt'altra caratura lo show dei Devin Townsend Project, che guidati dal carismatico frontman dalla battuta - anche di cattivo gusto - sempre pronta e con una fortissima autoironia, il quartetto sfrutta la propria ora di tempo sul palco appieno, per uno show ricco, coinvolgente e divertente. Con una setlist parecchio variegata che prendeva a piene mani dall'intera discografia di Townsend dopo lo scioglimento degli Strapping Young Lad, tra cui anche due brani da "Ocean Machine" datato 1997) e una versione riveduta e corretta di "Supercrush!" che anche senza Anneke Van Ginzberg ha incantato il pubblico, la band ha pompato il pubblico decisamente nutrito di adrenalina, pronto per la band seguente.
Scende Devin Townsend e salgono i Queensryche. Precisi, netti e puliti, nonostante vengano fuori da un travagliato divorzio con l'ormai ex cantante Geoff Tate, gli americani dediti ad un prog estremamente tirato vengono trainati dal nuovo vocalist Todd Latorre verso vette raramente raggiunte su quel palco. Uno show veloce e al limite del perfetto, coinvolgente ed entusiasmante, soprattutto durante gli estratti da OperationMindcrime, album simbolo della band. Per l'occasione hanno anche presentato un nuovo brano, dalle tinte molto moderne ma comunque ben impostato nel quadro generale della band, dal titolo "Arrow Of Time", primo estratto dal nuovo album in uscita a ottobre intitolato "Condition Human". È stato impressionante venire investiti da un sound così pulito, i Queensryche hanno donato al pubblico del MetalDays uno show eccezionale, decisamente da ricordare.
Seguono i Fear Factory, primi dei due headliner della serata. Definire il loro sound compatto al limite del scioccante sarebbe poco. La band di Cazares e soci innalza un muro sonoro incredibile, uno show energico e potente sotto molti punti di vista, ma non per questo privo di problemi. Purtroppo i Fear Factory sono stati vittime di una regolazione dei suoni non esattamente impeccabile che ha reso lo show meno godibile. Dietro al microfono, Burton C. Bell ce la mette tutta e anche di più, ma su alcuni punti - parecchi - scompariva dietro alle otto corde di Cazares o al secchissimo suono di un rullante regolato eccessivamente alto. Oltretutto lo show prevedeva l'uso della black light come fonte di illuminazione principale del palco, cosa che a lungo andare stanca parecchio gli occhi dello spettatore. Eccezion fatta per questi piccoli intoppi, uno show ottimo, minato purtroppo da una regolazione del mix che rendeva tutto troppo simile al suono di un frullatore acceso.
Tocca infine ai Saxon, i granitici inglesi che nonostante l'età, la tarda ora - hanno iniziato a mezzanotte passata - e una temperatura che è calata vertiginosamente dopo lo scomparire del sole dietro le colline, donano al folto pubblico uno spettacolo ricco di classici tutti da cantare - "Princess Of The Night" è stata per metà eseguita dal pubblico senza che la band toccasse strumento. BiffByford, nella sua elegante giacca in stile 1700 e forte della sua bianca criniera, non teme i suoi 64 anni e tiene un ritmo tale che è quasi difficile stargli dietro. La voce scurita dall'età non sembra temere rivali, ben oliata e mantenuta dall'esperienza, mentre il duo chitarristico alle sue spalle corre sulle autostrade delle sei corde con ruote d'acciaio come due motociclisti lanciati a tutta velocità in pista. Setlist incentrata sui classici, occupano circa un'ora e mezza con il loro heavy classico tipicamente inglese, con pochi fronzoli e poche pause tra un brano e l'altro se non per introdurne alcuni particolarmente importanti, come appunto "Princess Of The Night", "To Hell And Back Again" e "Denim And Leather", ormai assurti a inni dell'heavy metal classico.
Ci spostiamo sul secondo palco per i Dark Fortress. I blackster austriaci partono un po' in sordina con due brani dal nuovo album "VeneralDawn", il che lascia il pubblico un po' assopito anche data l'ora, ma cambiano rapidamente mood nel momento in cui la setlist inizia a contenere i brani più vecchi, più tirati e più tipicamente black, nonstante le tastiere smorzino un po' la violenza del sound. Nel momento in cui viene eseguita "Baphomet" il pubblico è decisamente in delirio collettivo. Da qualche anno a questa parte il secondo palco del MetalDays regala piccole perle di metal soprattutto estremo, tra cui appunto questo show dei Dark Fortress.
È tutto per il primo giorno, attendiamo che sorprese ci riserverà il secondo, con Black Label Society, Dream Theater e Cannibal Corpse in una strana triade che compone gli headliner della giornata.
Giorno 2
Giorno di grandi contrasti. Basti pensare anche soltanto alla terrificante escursione termica tra giorno e notte. Si passa facilmente dai 35 gradi del pomeriggio ai 23 scarsi della sera quando suonano i Cannibal Corpse, figuratevi, vestirsi è un disastro. Per non parlare appunto della bill in sé. Già i Blue Pills, giovane band dedita ad un blues rock abbastanza "fuori luogo" in un festival che, a parte qualche rara eccezione, ospita heavy metal dando molto spazio alle frange più estreme, ma soprattutto la stranissima tripletta finale composta da Black Label Society, Dream Theater e Cannibal Corpse. Di giorni con bill strambe ne abbiamo visti in passato, ma così tanto? Mai.
Ad ogni modo, stringiamo i denti e sfidiamo Caronte già dalle tre del pomeriggio per assistere allo show, purtroppo brevissimo, degli svedesi Avatar. Il loro melodicdeath tutto particolare porta un nutrito gruppo di metallari impenitenti che se ne fregano bellamente del sole che splende alle loro spalle e rende l'area del main stage una sorta di deserto del Sahara con temperature assurde per assistere ad uno show eccellente, dettato dalla incredibile capacità del frontman di intrattenere un pubblico che risponde perfettamente agli incitamenti. Musicalmente parlando lo show messo su dagli svedesi è ottimo, energico e coinvolgente, perfetto per intrattenere e scaldare gli animi - già parecchio accaldati, a dirla tutta - per quello che seguirà.
Tocca quindi agli Skindred, eccentrica formazione dedita ad uno strambo miscuglio di nu metal e raggae che sprizza energia da tutti gli accordi. Una sorta di verisonepseudocaraibica dei Russkaja per atteggiamento sul palco e per tipo di rapporto col pubblico, il cantante scherza e gioca col pubblico, inscenando piccoli siparietti esilaranti che fanno scoppiare il pubblico, anche qui bello nutrito nonostante il caldo, in grasse risate multilingua. Certo, l'intro con una sorta di remix di The Imperial March di John Williams e le citazioni più simili a prese per i fondelli di brani di Macklemore&Lewes fanno ridere di loro, ma sicuramente la simpatia di un frontman incredibilmente carismatico aiutano la band, che con una proposta musicale così stramba poteva sembrare fuori luogo. Invece il risultato è eccellente, il pubblico ha risposto ai brani, saltando più come se fosse ad un happy hour in spiaggia che nell'area palco di un festival metal.
Seguono i Blue Pills, giovanissima formazione sempre svedese portati in pompa magna da NuclearBlast. Band di stampo estremamente classico, dedita a sonorità più rock/blues che metal e con una frontwoman giovane ma caparbia che pare una versione moderna, rimessa a lucido e senza droghe in corpo di Janis Joplin. Sono autori di un concerto molto valido e ben congeniato, che purtroppo risente del piazzamento. Ancora troppo giovani e con poco materiale per suonare su un palco così grande (l'arena non si riempie se non per un quarto, e la maggior parte della gente è piguemente accasciata sull'erba all'ombra a sonnecchiare in attesa dei pesci grossi) per un tempo così lungo (un'ora piena) devono col poco materiale a disposizione cercare di occupare tutto il tempo a loro disposizione. Lo fanno, a stento, suonando quasi tutto il loro primo album e infilandoci dentro anche qualche momento virtuoso di assoli e strumentali. Magari sul second stage avrebbero ottenuto un risultato migliore, c'è da dire che dopo uno show carico e intenso come quello degli Skindred, i Blue Pills per quanto bravi fanno notare la loro inesperienza e gioventù mettendo in piedi uno show bello ma non entusiasmante. Un po' di esperienza in più sicuramente farà bene a questa band dal grande potenziale.
Ed ecco che succede un grande inconveniente. Sui maxischermi iniziano a girare avvisi che vogliono i Moonspell spostati sul secondo palco e lo spostamento degli Hyrax alle 3 di notte sempre sullo stesso palco. Il motivo non è chiaro, ma questo lascia un buco da oltre un'ora sul main stage che non si riesce a spiegare. Problema: per chi conosce l'area concerti del MetalDays, magari dai tempi in cui si chamava Metal Camp, il second stage è minuscolo, rispetto al main. Questo cosa vuol dire, che una band con tanto seguito come i Moonspell (già visti in questa sede nel 2011 e l'area era piena fino al mixer) avrà un pubblico striminzito e pressato all'infinito, non esattamente il massimo della vita. Senza contare che il loro concerto è stato messo in contemporanea a quello di uno degli headliner più attesi: i Dream Theater.
Risultato? Non siamo nemmeno riusciti ad arrivare ad avvistare il palco del second stage per vedere almeno una ventina di minuti dei portoghesi, prima di vedere i Dream Theater. Oh beh...
Ad ogni modo, dopo l'ora e più di nulla cosmico, salgono sul palco del main stage i Black Label Society. La band heavy americana ha radunato un foltissimo seguito, tant'è che dal fondo dell'arena vediamo la "collinetta del relax" completamente piena e l'arena stessa pinea fin oltre al bar dietro al mixer: capienza quasi massima, più piena di così l'abbiamo vista solo nel 2011 per gli Slayer, quando proprio non ci si muoveva, e lo scorso anno per i Sabaton, band molto amata dal pubblico del MetalDays.
Zakk Wylde e compagnia salgono sul palco e senza dire una parola iniziano a rigurgitare note su note di graffiante heavy metal vecchia scuola. La voce di Wylde è profonda e le sue chitarre in fiamme mentre da sfoggio di tutta la sua bravura davanti ad un pubblico adorante che risponde a suon di headbanging e crowdsurfing, E poi?
I Black Label Society per un'ora non dicono una parola, continuano a suonare la loro setlist senza proferire verbo al di fuori dei testi. Non un saluto, un riconoscimento al pubblico che dietro le transenne scalpita e spinge ed esulta e per oltre un'ora pare di ascoltare un live con i suoni non propriamente ottimali - sistemati in corso d'opera, come spesso accade ai festival - a cui sono state tagliate le interazioni col pubblico. Tanto perfetti quanto freddi nei confronti di una folla che invece è tutto men che fredda nei confronti della band che in quel momento sta calcando il palco. Certo, se dovessimo trovare un difetto a questo live faremmo fatica, sarebbe come andare a cercare il proverbiale ago nel pagliaio - tralasciando i suoni che, come già detto, ai live non sono mai perfetti - se non forse che la setlist era un tantino sbilanciata, in quanto i brani più lenti tra cui l'anthem "In This River" erano tutti concentrati verso la fine. Chiude "Stillborn", un saluto veloce e via ai tecnici di palco che hanno poco meno di quaranta minuti per sistemare il palco dei Dream Theater.
Come già detto in precedenza, questa giornata era composta da grandissimi contrasti, soprattutto per quanto riguardava il programma. Ebbene, nel momento in cui i progster americani sono saliti sul palco, abbiamo assistito ad un netto cambio di rotta per quanto riguarda lo spettacolo messo in atto sul main stage. Dove Zakk Wylde e soci erano risultati precisi ma gelidi, quasi messi lì a fare il compitino per poi tornare a casa, i Dream Theater hanno portato calore ed entusiasmo ad un'arena ancor più gremita. Di fatto, molti sono stati gli spettatori giunti dalle zone vicine a Tolmin, Italia compresa, che hanno sfruttato il biglietto da un giorno per poter assistere a questa data dei DT. In un momento particolare della loro carriera, ovvero il trentesimo anniversario di attività, nelle due ore circa a loro disposizione ripercorronoin ordine cronologicola propria carriera proponendo un brano da ogni album. La setlist è quindi estremamente variegata. Si comincia col botto con "Afterlife", ma la vera mazzata arriva subito dopo con "Metropolis". È qui che il pubblico inizia veramente a scaldarsi. Seguono altri undici brani, tra cui "Crimson Tide" dalla suite "A Change Of Season" dell'omonimo EP, "Burning My Soul", assente dalle setlist da qualche tempo, in rapida successione due brani molto contrastanti come "The SpiritCarries On" e "About To Crash" e la energica triade composta da "As I Am", "Panic Attack" e "Constant Motion", sicuramente il momento più alto dell'esibizione in quanto James LaBrie, in piena forma, ci dona una performance da brividi. Si chiude con un momento più soft con "Wither" seguita da "Bridges In The Sky" e "Behind The Veil" dall'ultimo album omonimo. Definirli eccezionali è veramente poco.
Seguono i Cannibal Corpse. Ora, diciamocelo, è stato un po' strano passare prima dai virtuosismi di Wylde, passando per i Dream Theater, più morbidi e "delicati" tra virgolette grandi come cattedrali, fino alla brutalità aggressiva del Cadavere Cannibale. È stato un cambio molto radicale. L'approccio iniziale è stato quello di uno schiaffo quando George "Corpsegrinder" Fisher ha iniziato a gorgogliare dietro al microfono, senza contare la violenza inaudita del sound sostenuto da una band in formissima anche se tutto sommato spoglio, rispetto alle precedenti band. Ciò nonostante, anche considerata la tarda ora, il pubblico risponde con un mosh incredibilmente ampio poche file dietro la transenna che di canzone in canzone diventa sempre più grande e violento, fino al suo culmine durante "Hammer Smashed Face" dove sinceramente non riuscivamo a capire dove iniziava e dove finiva. Il tutto condito con la solita brutalità di una band che calca i palchi da oltre venticinque anni e sanno cosa fare per aizzare anche il pubblico più assonnato. Presentano anche due nuovi brani dall'album prossimamente in uscita di cui purtroppo ci sfuggono i titoli data l'incredibile growl/scream di Fisher, che maschera ad arte le parole. Pronto allo scherzo e dalla battuta facile, soprattutto per quanto riguarda il suo incredibile headbanging, Fisher interagisce con il proprio pubblico facendo divertire, non solo rigurgitando brutali scene di decapitazioni, efferati omicidi compiuti nei modi più barbari e sanguinolenti ed elogi dell'ematospermia da dietro al microfono. Tanto di cappello per la riuscita di uno show abbastanza difficile, dato l'orario e la gran caldo che avrebbe spossato anche l'avventore con le migliori intenzioni di scapocciare allegramente per tutta l'ora e mezza che i Cannibal Corpse hanno suonato.
Si chiude quindi la seconda giornata, con una nota più che positiva. Ci aspettano altri giorni di caldo asfissiante e grandi concerti, e non possiamo fare altro che ringraziare il Dio Del Metallo che ha messo a disposizione di questo piccolo grande festival il suo meraviglioso fiume, che offre refrigerio ai metallari abbastanza coraggiosi da affrontarne le acque gelide e momenti di ilarità per chi invece non osa e preferisce osservare dalle sue sassose rive mentre omaccioni grandi, grossi e barbuti armati di braccioli di Spongebob (di cui a quanto pare il metallaro medio è grande fan) si buttano dalle rocce a mo' di trampolino ed escono dall'acqua gridando per il freddo.
Giorno 3
Impressionante come scorra in fretta il tempo. Pare assurdo, è già Mercoledì, siamo qua da Venerdì 17 e ci rimangono solamente tre giorni di Metaldays. Quando ci si diverte, il tempo scorre veramente troppo, troppo velocemente.
Sfidiamo nuovamente il solleone - fortunatamente Caronte sta per lasciare spazio a un po' di pioggia prevista per Giovedì - e a metà pomeriggio andiamo a dare un'occhiata ai The Devil. La band ha una storia strana, incorpora elementi heavy e industrial e li condisce con un po' di salsa gothic rock, i membri sono tutti anonimi e non hanno un cantante, ma una voce preregistrata che recita degli "oracoli" dal sapore di complotto in stile New World Order, Bilderberg e scie chimiche, in stile Nostradamus che prevede la fine del mondo. Vedere una band del genere dal vivo è un'esperienza alienante, soprattutto perché la loro dimensione perfetta sarebbe il live in un piccolo club, non su un palco del genere, e non in pieno pomeriggio. Sarà il caldo, sarà proprio la loro proposta musicale completamente fuori da ogni schema, ma la loro esibizione rimane un enigma anche dopo averci rimuginato una notte intera. Descriverla è difficile, perché dal punto di vista musicale è stata abbastanza buona, strana ma buona, però visivamente sarà stata la mancanza delle luci che col sole pomeridiano hanno ben poco effetto o proprio l'immobilità della band stessa, è risultata un po' carente di pathos. La mancanza del cantante ha reso il tutto particolarmente statico, al punto che pareva più che altro di ascoltare un disco, quasi suonassero in playback. Non è stata una bella sensazione.
Di tutt'altra pasta invece gli Emil Bulls. Gli alternative metallers tedeschi, con una proposta a mezza via tra il nu metal e lo skate punk più scanzonato dai ritornelli molto adatti al singalong anche se non si conoscono le parole, riportano un po' di energia sul palco, anche aiutati da un pubblico abbastanza scarno ma decisamente gioioso. Del resto, vent'anni sui palchi di tutto il mondo donano molta esperienza, e i tedeschi la fanno vedere tutta senza trattenersi. Suoni da migliorare, il basso praticamente inesistente rende la presenza del bassista sul palco al limite dell'inutile, ma nonostante questo lo show è ben congeniato se non forse troppo breve per apprezzare appieno le potenzialità della band a del resto succede spesso con le band pomeridiane.
Tocca quindi ai Death Angel, veterani del main stage del MetalDays essendo questa la loro terza apparizione a questo festival. Che dire? Energia da vendere, suoni impeccabili una volta risolto un problema con una chitarra, setlist ahinoi troppo breve - poco più di un'ora - che non permette di apprezzare quanto bravi effettivamente siano questi esponenti "minori" (le virgolette sono grandi come l'area camping di Wacken) della scena thrash della Bay Area e quanto la loro proposta, a distanza di tanti anni dall'esordio, sia ancora fresca e coinvolgente ma soprattutto distruttiva. Solo il batterista, per ovvi motivi, resta fermo, per tutta la durata del loro set i membri mobili dei Death Angel non si fermano mai, sono un turbinio di chitarre, capelli e musica devastante. Neanche a dirlo, è un warm up perfetto per il set successivo, anche se un paio di brani in più non avrebbero sfigurato.
Purtroppo però il tempo fugge ed è tempo dei Sepultura. Sarà anche stata una messa ad hoc per i festival, ma il fatto che nella setlist abbiano trovato posto solo per tre pezzi dell'era Derrick Green di cui due da "The Mediator Between Head And Hands Must Be The Heart", tutto il resto è composto da pezzi dell'era Cavalera. L'effetto non è dei migliori, perché pare quasi di vederlo il fantasmino dei fratelli Cavalera che svolazza sul palco come il proverbiale terzo incomodo e si fa sentire pesantemente. Nulla da eccepire sull'esibizione, forse si potevano regolare meglio i suoni della batteria, troppo alta rispetto alla voce, ma voler spingere così tanto sul passato mettendo veramente toppo risalto sui pezzi più vecchi non ha un gran effetto. Quasi come se Kisser e soci non si sentissero all'altezza di presentarsi davanti a un pubblico con gli ultimi pezzi composti e non se la sentano di presentarli davanti ad un pubblico così eterogeneo. Sembra quasi abbiano paura di fallire. L'esibizione lascia una nota dolce-amara in bocca, e un discreto senso di nostalgia che non dovrebbe esistere. Non ce l'aspettavamo.
Scende il sole ed è il turno degli Hatebreed. Anche loro veterani del palco di Tolmin, l'unica parola che ci viene in mente per descrivere il loro set è "rullo compressore". Sono stati impressionanti, brutali col loro hardcore tirato e devastante, precisi e puliti ma allo stesso tempo grezzi e cattivi. Nonostante la cappa d'afa che permane sebbene il sole sia già sceso dietro le montagne sotto palco è impossibile capire dove il circle pit inizi e finisca, tanto è esteso. Da esso oltretutto si alza un gran polverone, pare si sia bloccata la macchina del fumo. Un'ora e un quarto tiratissima e di ricordare negli annali del festival, ancor meglio di quando, nel 2009, riuscirono ad istigare un circle pit che correva attorno alla torre del mixer. Niente di che, direte voi, ma nel 2009 ha piovuto in continuazione e per l'occasione si affondava nel fango fino alle ginocchia. Spicca in setlist la cover di "Cause of War" degli Slayer, dedicata al defunto e compianto Jeff Hanneman.
Si cambia completamente genere quando, poco meno di quaranta minuti dopo la fine del set degli Hatebreed tocca ai tedeschi Accept salire sul palco. Anche loro veterani del palco, che hanno già calcato nel 2011, il loro heavy metal è netto, preciso, veloce e devastante. Anni e anni on the road e hanno perfezionato la formula, raggiunto il ratio perfetto tra grandi classici e brani nuovi senza necessariamente perché diciamocelo, gli Accept che non suonano "Metal Heart" e "Balls To The Wall", entrambe parte dell'encore in chiusura, non sarebbero gli Accept. In formissima nonostante l'età e il tour promozionale di "BlindRage" alle spalle, salgono sul palco come una macchina da guerra e asfaltano tutti. Impossibile rimanere fermi, non c'è una testa che non si muovi o un piede che non segua il ritmo, anche i collassati per il troppo alcol o troppo headbanging e msoh non riescono a star fermi e si ridestano perché gli Accept sono una forza della natura inarrestabile, e ti mettono veramente con le (s)palle al muro con un heavy che non accetta compromessi. E non te la manda a dire. Epicità allo stato puro, e "Stalingrad" da sempre i brividi in sede live. Gli Accept non delutono, mai.
Non si può dire lo stesso dei Carcass, purtroppo. Gli inglesi, a causa di un soundcheck frettoloso e un cambio palco incentrato più che altro nel sistemare i proiettori per i filmati che accompagnano la loro esibizione - da cui si capisce che amano molto il tema della chirurgia - hanno suoni al limite del pessimo, decisamente sotto la media delle band precedenti e non all'altezza, anche perché la proposta musicale dei Carcass, se filtrata attraverso dei suoni mal regolati - la voce spesso sparisce, il basso non si sente e la batteria suona secca quanto una pentola - diventa solo un calderone di riff di cui è praticamente impossibile distinguere le componenti. Precisi come gli strumenti chirurgici rappresentati sul backdrop alle loro spalle, nell'ora e poco più a loro disposizione paiono proprio dei chirurghi: precisi e netti, ma anche freddi come l'acciaio che tengono in mano. Sembrano messi sul palco neanche fossero uno studente che, in sede d'esame, si è imparato a memoria la paginetta del libre la ripete così com'è. Senza infamia e senza lode, un'esibizione buona ma potevano fare nettamente di meglio. E un soundcheck meno approssimativo avrebbe sicuramente giovato alla riuscita finale.
Passa quindi anche quello che, metereologicamente parlando, si presentava come il giorno più caldo del festival, una giornata di veterani e di strane band con strane proposte, della realizzazione che, finalmente dopo anni i suoni del main stage sono veramente buoni e che a parte qualche certezza la maledizione che ha visto nel corso degli anni molti headliner soffrire di suoni terrificanti. Mancano ancora due giorni e tutto può succedere, ma siamo a questo punto abbastanza sicuri che arriveremo alla fine del festival con la maggior parte dei set con buoni suoni. Intanto ci godiamo in spiaggia le partite di beach volley in perizoma di (non sempre) aitanti metallari che per una birra farebbero di tutto.
Giorno 4
Mentre siamo in spiaggia, placidamente accasciati nelle nostre sedie pieghevoli con una birra in una mano e un libro nell'altra nell'attesa che passi la calura terrificante che si è abbattuta su Tolmin in questo penultimo giorno di MetalDays, non possiamo non soffermarci un secondo a guardare la varietà di metodi con cui i metallari di mezza Europa e anche più si intrattengono nell'attesa di andare a vedere i concerti delle proprie band preferite.
Molti, come noi, prediligono la lettura - fantasy e fantascienza regnano sovrane - altri chiacchierano allegramente coi vicini sotto le fronde degli alberi che offrono ombra e refrigerio, c'è chi sonnecchia nel tentativo di farsi passare la sbronza e altri invece che sfidano le gelide acque del Tolminka e dell'Isonzo e si trasformano i castori.
Sì, castori. Il fondo sassoso dei fiumi è infatti perfetto per raccattare sassi e costruire dighe. A quanto pare, questo è un passatempo molto amato, vista la quantità di piccole "piscinette" recintante da sassi accuratamente impilati si sono create lungo il corso balneabile dei fiumi.
Eh, il caldo gioca brutti scherzi per davvero, tant'è che inizi a notare cose del genere.
Ad ogni modo, decidiamo che ne abbiamo abbastanza della spiaggia e ci trasciniamo in area main stage in tempo per vedere i Deadlock. Un'ora scarsa di set ed è facile inquadrarli, incastrati in un mix tra power e melodicdeath con una voce femminile ancora acerba ma potente a sostenere la parte più melodica. Un'esibizione senza infamia e senza lode, carina ma piena di difetti - le stecche abbondano e la proposta un po' trita non entusiasma -, insomma un'esibizione media di una band nella media.
Inversione di rotta e si vira verso le note southern/stoner rock dei Crowbar. Coi suoni peggiori della giornata - se non addirittura del festival intero - la band di New Orleans non brilla, per svariati motivi. Come già detto, i suoni così pastosi e poco chiari non hanno certamente giovato, ma anche il posizionamento in bill non è stato dei migliori. Incastrati tra una band power e una black, l'interesse a poco a poco è scemato in fretta anche a causa dell'avvicinarsi dell'ora di cena. La risposta del pubblico era quello di un interesse forzato, perché si aspettava chi veniva dopo o semplicemente perchè erano la band che suonava mentre si cenava. Sicuramente un genere non facile, lento e strascicato come le acque delle paludi attorno a New Orleans, i Crowbar non hanno brillato e non sono stati capaci di accaparrarsi il favore di un pubblico spossato dal caldo e che sta cercando di capire se si deciderà mai a venire a piovere, date le incombenti nubi nere che correvano sopra di noi.
Di tutt'altra pasta invece è stata l'esibizione dei Vreid. I norvegesi, nati dalle ceneri dei Windir dopo la morte di Valfar, propongono un black particolare ma molto amato nel suo genere e in appena un paio di brani l'arena si riempie coi ritardatari che letteralmente si lanciano a rotta di collo attraverso i controlli di sicurezza o dall'area del second stage, alcuni con ancora mezza pizza in mano. Incuranti del fatto che potrebbe piovere da un momento all'altro - anche se la perturbazione nel corso della serata si è spostata verso ovest - la folta folla si fa trascinare dalle suggestive vibrazioni dal sapore black condito con una giusta dose di black metal, la band sul palco è fredda al punto giusto, come vuole il genere, ma allo stesso tempo scalda il proprio pubblico. I suoni, nettamente migliorati dall'esibizione precedente, permettono anche di godere appieno della complessità della musica dei Vreid, cosa che non può far che piacere al pubblico che sotto palco si gode un concerto ottimo.
Finiti i Vreid, tocca agli Hardcore Superstar, in un'ennesima virata di genere. Dal black allo sleaze/glam il passo è veramente lungo, e a quanto pare non tutti sono in vena di compierlo. Nel momento del cambio palco infatti l'arena praticamente si svuota per poi riempirsi solo fino ad un terzo della capienza massima verso la fine dell'esibizione degli svedesi, pur autori di un concerto divertente, energico ed incredibilmente coinvolgente con singalong, momenti da rotolarsi a terra dal ridere e incursioni sul palco di fan non proprio sobri invitati a cantare. È stato il momento quasi comico del festival, durante "Last Call For Alcohol" quando due fan sono saliti sul palco - invitati, ovviamente - e hanno cantato le ultime battute della canzone alla band sul palco. Al ritmo dell'adagio "sesso droga e rock and roll" gli Hardcore Superstar prendono la palla al balzo e catturano un pubblico minuto per gli standard del MetalDays e lo fanno loro tra canzoni orecchiabili e soprattutto divertenti. Come il loro show. E il loro pubblico.
Arriva quindi il main event della serata, l'esibizione degli Arch Enemy. Alla prima apparizione sul palco del MetalDays dopo l'entrata in formazione di Alicia White-Gluz e di Jeff Loomis a supporto di Michael Amott, la band si dimostra molto in dopo l'iniezione di adrenalina che è la nuova cantante, che sul palco non sta ferma un secondo, al contrario di Angela Gossow che tendeva ad essere molto più statica sul palco. Forti di una scaletta ben bilanciata ma che lascia fuori i due album con Liva alla voce, la band ripercorre la propri carriera musicale da "Wages Of Sin" in avanti, senza dimenticare ovviamente il più recente "War Eternal", i cui brani fatto forte presa sul pubblico sotto palco, particolarmente attivo ora che, finalmente, il sole è tramontato e il caldo si è trasformato in una piacevole frescura. Si infiamma particolarmente sui grandi classici come "Ravenous", che avremmo quasi scommesso sarebbe stata eliminata per far spazio ai brani più recenti, e soprattutto "We Will Rise" e "Nemesis" in chiusura, momento in cui se si piantavano ben i piedi a terra si potevano sentire le vibrazioni causate dalle persone che saltavano sotto palco.
Chiudiamo la giornata facendo una capatina al second stage per vedere i Rotting Christ, per poi decidere di non trattenerci fino alla fine del set, un po' per l'ora tarda e un po' per l'eccessiva noiosità del concerto in atto. Area second stage piena, ma non fluiva energia tra la band sul palco e il pubblico sotto, tanto che quasi tutti erano fermi e un po' annoiati. Ci aspettavamo di più, dato anche il modo di porsi abbastanza "epica" della band greca. Preferiamo quindi non trattenerci fino alle tre di notte, orario previsto per la fine del concerto, e ritornare in tenda a riposare. Manca un giorno solo e la fatica inizia a farsi sentire.
Giorno 5
E si arriva alla fine. Come ogni anno, il quinto giorno è sempre un momento di amarezza perchè è finita l'avventura, mancano solo gli ultimi concerti, gli ultimi attimi di divertimento puro al 100% senza nessuno che ti alita sul collo dicendoti di conformarti alle regole della società, le ultime birre gelate tracannate per mandare giù un hamburger speziato che ti è rimasto a metà esofago perchè mentre mangiavi scapocciavi come un matto. C'è chi, come noi, si prepara già al rientro impacchettando per bene la macchina in modo da essere pronti già per partire quella notte, e chi invece preferisce rimanere fino al giorno successivo e smaltire gli ultimi bagordi prima di partire con più calma.
C'è anche da dire che, giunti all'ultimo giorno di MetalDays, si inizia sentire la mancanza di certe comodità a cui siamo abituati a casa, a partire dal proprio letto, che ormai pare quasi un miraggio, il personale (o quasi) trono di porcellana e non ultimo ad un accesso ad internet stabile anche solo per comunicare a casa che stiamo bene e che non siamo ancora collassati per via del caldo o del troppo alcol.
Insomma, il MetalDays è un festival coi fiocchi - e dopo cinque giorni ci siamo completamente ricreduti riguardo quelle che, all'inizio, ci sembravano note negative e tentativi di andare "al risparmio - ma dopo una settimana non ne puoi più. Soprattutto perchè la coda alle docce è terrificante.
Ad ogni modo, per l'ultima volta quest'anno varchiamo i cancelli dell'area main stage. Sul palco ci sono i Suicide Silence. Dopo la morte del cantante Mitch Lucker avvenuta ormai quasi tre anni fa, e l'entrata nella band di Eddie Hermida, la band è ritornata sulle scene e per la prima calca il palco di Tolmin. Con risultati non troppo brillanti, a nostro dire. Suoni sotto la media, più o meno impastati come quelli dei Crowbar giusto il giorno prima, la loro esibizione è stata un continuo susseguirsi di insulti al pubblico - non capiremo mai l'abitudine tutta rock dell'insinuare che tutti gli avventori di un concerto abbiano rapporti incestuosi con la propria madre - seguiti da un'altra canzone e poi altri insulti. Monotoni al punto che sono diventati fastidiosi in fretta, con un wall of death mal caricato e di scarsa intensità, tant'è che ce ne stavamo quasi dimenticando.
Finiti i californiani, troviamo in bill un altro gruppo veterano del festival, i Kataklysm. Già in tour promozionale per il nuovo album in uscita a giorni, il quartetto canadese ritorna dopo due anni sul palco sloveno con un'esibizione che parte in sordina ma migliora di canzone in canzone. Se le prime due canzoni paiono quasi sotto tono rispetto al solito concerto iniettato di adrenalina che i Kataklysm sono soliti offrire, quando la band giunge a circa un terzo del set è come se qualcuno spostasse un interruttore e di colpo dal palco si sprigiona un'energia incredibile che si riflette sul pubblico, quasi come una scarica elettrica che attraversi tutti quanti. Questa energia rinnovata oltre che a vedersi sul palco la si nota sotto al palco, con un incremento esponenziale dei crowdsurfer, anche incitati dallo stesso Iacono in quello che viene definito "security stress test". Verso la fine del set, durante "Crippled And Broken" si è arrivati alla devastazione.
Ci si placa quel tanto che basta per riprendere fiato durante l'esibizione degli Eluveitie. Anche loro veterani e con un album uscito poco più di un anno fa ancora da promuovere, nei settantacinque minuti messi loro a disposizione si concentrano stranamente più su "Everything Remains As It Never Was", mentre da "Slania" viene eseguita solo "Inis Mona" - e se provavano a saltarla si sarebbe scatenata una rivolta, molto probabilmente - ma trovano spazio anche per ben due brani da "Spirit" e uno da "Ven". Esibizione da manuale, con quindici brani a ritmo serrato tra cui spiccano "Omnos" in versione heavy, "A Rose For Epona" acustica - raramente eseguita in questa maniera - e "Call Of The Mountian" in tedesco. Gli svizzeri dimostrano che col passare degli anni, i cambi di formazione - la nuova violinista che ha sostituito Meri Tadic si dimostra più che adatta al ruolo - e delle release che dividono critica e pubblico, dal vivo sono ancora tra il top delle formazioni metal odierne, capaci di momenti molto duri come su "Inis Mona" e altri più melodici come sull'acustica "A Rose For Epona".
Si giunge infine all'ultima esibizione, la più attesa della giornata, ma anche la più temuta perchè escludendo il secondo palco è veramente l'ultima, la chiusura del festival e sta a sancire l'arduo ritorno alla vita di tutti i giorni. Questo difficile compito tocca ai Behemoth, band particolarmente amata tanto che l'arena è quasi del tutto piena e c'è un gran traffico ai cancelli di gente che accorre praticamente solo per vedere loro. Che dire? Nergal e soci mettono su un concerto ricco di giochi di luci, pyros e croci in fiamme, che come un magnete cattura l'occhio e soprattutto le orecchie. Il death metal fortemente tinto di black prende una piega così teatrale che dal pubblico è come guardare veramente uno spettacolo, con la band protagonista di una oscura storia fatta di messe nere, demoni infernali e preghiere anticristiane messe in musica, il tutto in un connubio così bello che incanta. Fa impressione notare come basti poco per rendere meno kitch un genere che del cattivo gusto ha fatto una bandiera, quasi lo nobilitasse. Ma parlando del concerto e non solo degli ammennicoli scenici, i Behemoth non deludono. Precisi al millimetro, i quattro - tre, escludendo il batterista che non può muoversi - musicisti aleggiano sul palco come eteree figure uscite da un girone infernale a caso, incutendo quasi paura. Nergal poi, col suo cappuccio fissato che non si sposta nemmeno a pagarlo, attrae l'occhio su di sè al punto da parere quasi ipnotico. Con una setlist di 14 brani, abbiamo cinque pezzi presi da "The Satanist", album che la band sta ancora promuovendo, e il resto preso a piene mani dalle release più recenti, o almeno degli ultimi quindici anni. Spicca la triade centrale composta da "As Above So Below", "Slaves Shall Serve" e "Christians To The Lions", durante le quali il pubblico è a dir poco scatenato. Stessa cosa vale per "At The Left Hand Of God". Nella fredda notte slovena, i polacchi scaldano il pubblico come le fiamme brillano sul palco nel momento in cui in un intermezzo vengono date alle fiamme due croci rovesciate.
Insomma, degno concerto per una degna chiusura di festival.
Nel corso di queste sei giornate abbiamo avuto modo di vedere come, al contrario di quanto avevamo pensato all'inizio, l'organizzazione di anno in anno migliori. Ci sono stati un paio di inconvenienti nei due giorni prima dell'inizio effettivo del festival tra cui la mancanza di comunicazione che ha portato diversi campeggiatori - noi inclusi - a piantare le tende dove lo spazio era stato riservato ai gruppi, ma sono state cose superate facilmente e in poco tempo una volta attivata la macchina organizzativa in tutta la sua capacità. Poca coda ai box office, rapida distribuzione degli accrediti - con biglietto elettronico e dati tutti inseriti nel codice QR allegato, peccato per il pass di carta non plastificata - punti di distribuzione acqua potabile sparsi un po' ovunque nell'area camping e nell'area stage, bagni puliti - sembra paradossale, ma sì, i bagni erano sempre puliti - e buon cibo, forse un po' troppo costoso, ma comunque abbondante nelle porzioni. Purtroppo sono stati ridotti i punti di distribuzione e la loro offerta, ma quello che c'era era buono e digeribile, e col caldo che ha fatto è stata una gran cosa.
Inoltre la possibilità di acquistare i biglietti per l'edizione successiva a costo ridotto e con anche una maglietta è decisamente una grande idea, cosa di cui abbiamo approfittato subito.
Si conclude quindi quella che a nostro avviso, dopo sette anni di cocciuta insistenza ad andare sempre lì e rinunciando alle lusinghe di festival più noti o distanti, è stata l'edizione più riuscita - ovvio, ha ancora molte falle come il wifi che non funziona mai o le docce calde che vanno solo per i primi cinque minuti di apertura - ma decisamente messe in ombra dai pregi che caratterizzano un festival che costa poca fatica, rilassato al punto giusto tanto che ci possono venire famiglie con bambini, poco costoso e dal rapporto qualità-prezzo incredibilmente vantaggioso. Inoltre quest'anno a parte qualche band sfortunata abbiamo avuto dei suoni al limite del perfetto, cosa a cui ormai, dopo così tanti anni, avevamo quasi rinunciato.
Descrivere il MetalDays in tutti i suoi pregi e difetti però diventerebbe eccessivamente lungo e verboso, per cui chiudiamo con un pensiero rivolto a chi c'era, chi avrebbe voluto esserci e chi magari era indeciso e ha rinunciato: volete farvi un festival metal in cui, oltre che a farvi venire il torcicollo per l'headbanging ci sia anche la possibilità di rilassarsi, dove anche campeggiando ad un metro dall'uscita non ci vogliano ore e ore per raggiungere l'area concerti, dove poter vedere bei paesaggi e perchè no, fare skydive sopra all'area festival? ll MetalDays è il festival che fa per voi, e non è neanche eccessivamente lontano.