Jake Bugg - Tour 2013
04/12/13 - Alcatraz, Milano


Articolo a cura di Paola Marzorati

Hey Hey, my my, rock ‘n roll will never die”, cantava Neil Young nel 1979. E canta oggi Jake Bugg, di fronte al sold out dell’Alcatraz, penultima canzone di una scaletta di ben 20 pezzi. Ed è vero, il rock ‘n roll non morirà mai. Non importa se non ci sono capelli lunghi, pantaloni di pelle, sesso, droga e chitarre elettriche sparate da un muro di amplificatori. Quello di Jake Bugg è rock ‘n roll, perché, cos’è il rock ‘n roll se non fare quel cazzo che si vuole? Esprimersi come si vuole? Scegliere un genere non perché è popolare ma perché parla al cuore della gente? E Jake Bugg ieri sera ha parlato alla parte più fragile e delicata di noi, quella che si fatica a mostrare,  ha scaldato i corpi congelati dalla fredda Milano, sciogliendo il gomitolo di pensieri e preoccupazioni, con il solo aiuto di una chitarra e della sua voce.

Ad aprire la serata sale sul palco il duo losangelino Honeyhoney: un mix di folk, soul, country, pop e rock. Mentre Ben Jaffe suona chitarra e batteria, ringraziando a quasi ogni pezzo l’inaspettata  accoglienza dell’Alcatraz, Suzanne Santo alterna chitarra, violino e banjo, creando con la sua voce calda un mix di generi, estremamente personale, che ha proprio nella sua personalità il punto di contatto con la musica di Jake Bugg e, anche, nella sua profonda semplicità e verità.

There's a beast eating every bit of beauty
And yes we all feed it


jakebugg_livereport2013_00bispxCantando queste parole Jake Bugg sale sul palco, pantaloni e maglietta nera, impugnando una delle tante chitarre che cambierà durante lo show. “C’è una bestia che mangia ogni piccola parte di bellezza e sì, noi la nutriamo”. È vero, sappiamo che è vero, ma di fronte allo spettacolo che il diciannovenne inglese mette in scena è difficile credere ai mostri, è molto più facile credere alla bellezza. E al talento. Perché la prima cosa che colpisce di Jake è il suo immenso talento e la sua maturità. Non ha bisogno di nascondersi dietro nulla, vestiti appariscenti, coreografie, effetti speciali, solo lui e una chitarra. Guardandolo cantare e suonare tutti i pezzi, assoli compresi, è difficile credere che abbia solo diciannove anni. È un musicista maturo, sicuro mentre muove le dita sulla sua sei corde, timido solo quando parla al pubblico, pubblico che urla e applaude e lui che non riesce a terminare la frase e sorride, forse un po’ sorpreso di tanto calore in una giornata così fredda.

So I kiss goodbye to every little ounce of pain
Light a cigarette and wish the world away
I got out, I got out, I'm alive but I'm here to stay


Mani e mani alzate per mimare il simbolo delle “two fingers”, delle due dita, titolo della canzone che insieme a “Seen It All”, “What Doesn’t KllY ou” e “Lighting Bolt” fanno scatenare maggiormente il pubblico dell’Alcatraz. Una scaletta completa, quella di ieri sera, in grado di far attraversare i più diversi sentimenti, come se si trattasse di stati su una cartina, e noi stessimo attraversando il mondo. Che sia il mondo di Jake Bugg o il nostro è difficile dirlo, perché quando inizia la sessione acustica del concerto, con canzoni come “Country Song”, “Pine Trees” e “Slide”, risulta difficile distinguere le due cose, si sono fusi, il nostro mondo e il suo, nella semplicità e dolorosa verità della sua voce. Perché non possiamo negare di essere tutti quanti un po’ rotti dentro (“Broken”),  dei ragazzi un po’ sbandati (“Messed Up Kids”), che credono che una canzone d’amore non sia abbastanza (“A Song About Love”).  E va bene così, perché per una volta la musica non ci deve far sentire invincibili, ma forse, un po’ più veri.

 

jakebugg_livereport2013_02px
 

It’s better to burn out than to fade away”, cantava Neil Young nel 1979. E canta Jake Bugg di fronte all’Alcatraz pieno. E’ meglio spegnersi in una fiammata piuttosto che bruciare lentamente. Ma, per ora, Jake non sembra correre questo pericolo. E’ lui la fiamma, la fiamma della giovinezza, della passione, ma soprattutto del talento e della verità. E non sembra volersi spegnere, ma brillare come gli accendini accesi alzati con la sua musica. Solo bruciare, bruciare, bruciare “come favolosi fuochi artificiali color giallo che esplodono come ragni traverso le stelle e nel mezzo si vede la luce azzurra dello scoppio centrale e tutti fanno Ooohhh!”.” (Kerouac, Sulla strada)

SETLIST:


There’s a beast and we all feed it
Trouble town
Seen it all
Simple as this
Storm passes away
Two Fingers
Messed up kids
Ballad of Mr Jones
Country song
Pine trees
A song about love
Slide
Green man
Kingpin
Taste it
Slumville sunrise
What doesn’t kill you
Broken
Hey hey, my my (cover)
Lighting bolt




Intervista
Anette Olzon: Anette Olzon

Speciale
L'angolo oscuro #31

Speciale
Il "Black Album" 30 anni dopo

Speciale
Blood Sugar Sex Magik: il diario della perdizione

Speciale
1991: la rivoluzione del grunge

Speciale
VOLA - Live From The Pool