Iosonouncane @ Init
16/04/15 - Init, Roma


Articolo a cura di Davide Fadani
Era dai tempi dei Guns che ad un concerto non vedevo ragazze svenire ed essere portate fuori a braccio dal locale, ma al concerto di Iosonouncane, al secolo Jacopo Incani, l'altro ieri sera all'INIT di Roma, è successo anche questo.

 

Oggi tiro le fila di un'esperienza musicale singolare...almeno per me, abituato come sono alla musica in quanto sottoprodotto analogico dell'azione umana... Sul palco con Jacopo invece c'è solo lui, la sua idea di musica e il messaggio che di volta in volta vuole veicolare. Si, c'è anche una chitarra lì di fianco, ma non è altro che un desueto feticcio di un passato dal quale ci si è ormai completamente affrancati. In altre parole non gli serve. Ci sono due consolle con pulsanti e pirottini da girare tra pollice e indice col mignolo alzato ed un laptop ad ergersi monolitico contro 600 anni di musica strumentale.

 

Eppure suona. Eppure Jacopo suona. Si dimena dietro quelle consolle. Si agita. Chiede al pubblico di entrare nel suo mondo ritmico, chiede ai fonici di darglielo un mondo ritmico adeguato, e ride, si diverte... che bello.

 

Il concerto di ieri fa parte del tour di presentazione del nuovo album, DIE, uscito a fine marzo 2015 che viene proposto al pubblico per intero perché cosi dev'essere, perché non può essere diversamente. DIE è un'unica grande storia che non avrebbe senso raccontare a pezzi. E il concerto di ieri rispetta la costruzione e la costituzione dell'album da questo punto di vista. La lunga, lunghissima introduzione di "Tanca" permette al pubblico di entrare lentamente, scaldare i timpani e di calarsi completamente nel mondo psichoelettronico del sig. Incani e da lì in avanti sono sole, cielo, terra e mare gli unici tuoi compagni di viaggio. Qua e la qualche gabbiano. Il contrasto creato tra ciò che senti, ciò che vedi e ciò che immagini chiudendo gli occhi è potente. I loop, le basi campionate, i colpi di batteria che rivivono solo nei coni di casse di un impianto (che più che un impianto è un rimpianto...) che aspira tutta l'aria possibile e la comprime per dar forma ad un mondo antico, asciutto, primordiale, fatto di tutto fuorché di elettronica. Con gli occhi chiusi puoi seguire il vento e le nuvole e devi ripararti gli occhi dal caldo abbacinante di un sole perennemente agostano. E se li riapri invece vedi Jacopo sul palco da solo che "suona" i suoi strumenti, che spinge la sua voce sempre più in alto fino a distorcerla in quel modo singolare che rende unica la musica che fa. Se apri gli occhi vedi gente ipnotizzata e vedi anche gente che non gliene può fregà de meno... Se apri gli occhi vedi il diossido di carbonio che sale dalle spalle di Jacopo illuminato da tergo come se fosse appena uscito dall'inferno.

 

E poi c'è il pubblico, e il pubblico stasera all'INIT c'è. Se ne accorge anche Jacopo che ad un certo punto ringrazia per l'abbondante serata. Qualcuno tra il pubblico prova anche a cantarle queste canzoni che però al di fuori del loro preciso involucro musicale del quale sono parte integrante si sgretolano come terra riarsa tra le mani. Non sono melodie che puoi canticchiare sotto la doccia. Mi vien da ridere solo al pensiero. C'è un atmosfera densa, e calda nel locale. Si suda. La birra è salata. Letteralmente (la birra più grama che puoi trovare dal Manzanarre al Reno è qui, stasera) e sul finire del viaggio quando arriva il momento di "Mandria", qualcuno non ce la fa...qualcuno non arriverà mai alla fine di questo viaggio immaginario. Qualcuno sviene, come dicevo. Qualcuno semplicemente esce non completamente soddisfatto della proposta musicale. Jacopo invece è ancora dietro la sua consolle e va su e giù al ritmo della cassa che pare quasi un bisonte che incede all'orizzonte. Va suegiù, suegiù, suegiù fino a sparire; finché non rimane solo un Larsen , il buio e noi in sala siamo tutti naufraghi con la bocca piena di sale.

 

Addio.

 

Anzi no.

 

C'è ancora il tempo di guardarsi indietro per qualche minuto e celebrare brevemente con un paio di brani il disco che ha portato al successo Iosonouncane.

 

Giusto in tempo per restituirci la dimensione umana del cantautore. Si parte con "La macarena su Roma" e qui apprendo una cosa fondamentale rispetto a questo tipo di musica. Qui capisco che anche facendo musica elettronica devi necessariamente "suonare" e devi saperlo "fare". Devi essere "analogico" in un certo senso. Devi fare le cose a tempo altrimenti... sbagli! E se sbagli sei umano. Non sei più un robot. Una base. Un computer privo di qualsiasi sentimento. Basta mancare l'attacco di una strofa e allungare un attimo l'ingresso della base per restituirmi tutta la bellezza dell'imperfezione che rende unico un live.

 

Gran finale con la chitarra, alla fine: la chitarra per accompagnare "Il corpo del reato". Il pubblico è contento. Si diverte. Ne vuole ancora. Tanto che prima dell'attacco dell'ultima strofa della canzone Jacopo si ferma un attimo quasi a raccogliere fiato ed energie e dal pubblico subitaneo si alza un grido di giovane donna che esclama "FACCE "GGIUGNOOOO"!!!!!".

 

La risposta è laconica.

 

"Eccheccazzo....fatemi prima finire questa!"

 

Ed io che ero venuto per fare un'intervista...




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