Il Glamour Tour è, nella sua semplicità, perfettamente in sintonia con l'album di quest'autunno, anche dal punto di vista scenico: la chiave è l'Electro Pop, ed il contrasto nero-fucsia dell'ultimo artwork è evidenziato ovunque, specie sulla strumentazione del gruppo. Si parla quindi di un gruppo, perché è indispensabile sottolineare come, al di là della particolare presenza al limite dello psicotico del frontman ed ideatore Niccolò Contessa, tra scossoni di spalle e molleggiamenti a ritmo delle proprie canzoni, I Cani siano una band al completo: batteria, basso, tastiere ed effetti, una backline al servizio del Pop e del popolo.
I Cani suonano in degenere armonia con i gruppi di seguaci che si dimenano sotto al loro palco, elettrizzati dalle sintesi elettroniche che, almeno al Geoxino, non si sentono, perché offuscate dalle elementari linee di basso e dalla voce teatrale di Contessa, e quindi si dimenano quasi per niente, o forse solo per i singoli più volte ascoltati con lo smartphone: "Hipsteria", "Il Pranzo di Santo Stefano", "Storia di un Artista" e tutti gli altri, dal secondo "Glamour" al primo "Il Sorprendente Album d'Esordio de I Cani". Con "Non c'è niente di Twee" dalla folla partono cori, applausi, urla. C'è pure una bandiera dei pirati. Se due tastiere e qualche riverbero generano tanta foga, onore a I Cani che non si sono fatti sfuggire l'opportunità di ingolosire l'attuale generazione di progressisti musicanti - il futuro di questo mondo - grazie a quattro o cinque semplici note computerizzate, tanti flash, qualche led e ritornelli ripetuti ad oltranza. Contessa gioca con il suo stesso ruolo, interpreta i brani ad uno ad uno con provocatoria carica teatrale, in un dubbioso contrasto tra emozione e provocazione. E la sua stessa personalità artistica, fuori dal palco, è un duplice contrasto: c'è chi lo critica, con giusti affondi sul plasticoso stile musicale, e chi lo difende, in particolare i dati del mercato. Lui tira dritto, difendendo la sua romanità e i suoi pensieri che ben si inseriscono in un sound divenuto ormai caratteristico.
Dal vivo I Cani suonano bene, anche perché non potrebbe essere altrimenti: stordiscono e catturano con poco e confermano l'impressione che si diffonde grazie ai loro dischi, in particolare al secondo: sono un progetto consapevole di cantautorato tecnologico per riflessioni adolescenziali autocommiserevoli e povere di spirito, una superficiale felicità istantanea. Una luminescente favola hipster che prima o poi finirà, ma che, numeri alla mano, rappresenta tutt'ora un grande fenomeno nazionale, acclamato e richiesto: è quindi il caso di farsi due domande.