Nulla è andato perso. Tanto è stato raccolto.
Un piccolo borgo medievale marchigiano, San Ginesio, dove il tempo pare essersi fermato, tra i ciottoli delle strade e gli edifici dalla fierezza feudale. Un teatro ottocentesco dedicato al poeta marchigiano più celebre, piccola bomboniera che con garbo e calore accoglie 250 tra curiosi e amanti della musica, più sei musicisti che riempiranno il palco con i loro strumenti, le loro parole, il loro racconto fatto di note. Un musicista, o meglio, un artista, Gianni Maroccolo, che con “Nulla È Andato Perso” non celebra i suoi trentacinque e più anni di carriera,ma l’“incontro”, il suo concetto, la sua importanza.
L’incontro tra la passione per la musica e la musica stessa, l’incontro tra persone affini musicalmente, l’incontro tra estremi musicali così differenti che è impossibile (leggasi quasi inspiegabile) non possano attrarsi reciprocamente. L’incontro, aggiungiamo noi, tra il suo essere artista bambino, privo di cinismo o malizia, colmo di passione per la scoperta, la novità, l’ignoto, e il pubblico, anch’esso bambino, anch’esso accorso con l’entusiasmo che solo la curiosità più pura può smuovere l’animo dell’essere umano. Perché se c’è una cosa di cui si può esser sicuri, è che Gianni Maroccolo è un artista a 360°, con la pregevole aggravante che l’unico chiodo fisso che ha è quello di farsi guidare dalla passione istintuale della Musica. Non a caso i suoi compagni di viaggio (Andrea Chimenti dei Moda - senza accento, vi prego di non confondere -, l’amico di sempre Antonio Aiazzi, Simone Filippi degli Ustmamò , l’amante degli strumenti orientali Beppe Brotto, la pianista Alessandra Celletti) in questa epopea così intima, eppure così possente, non sono musicisti, ma sono artisti, persone anch’esse mosse e guidate dall’impulso per il nuovo.
Qualcuno potrebbe chiamarlo “amore per la sfida”, ma la sfida implica lo scontrarsi con qualcuno. Invece è “amore per l’incontro”, ed è proprio questo il concetto fondante da cui e per cui è nato e sta crescendo questo tour. Merito (neppure troppo implicito) anche di Claudio Rocchi, a cui il bassista toscano ha dedicato il concerto e il tour: fu proprio l’incontro tra i due a far letteralmente rinascere Maroccolo, e nel Teatro Giacomo Leopardi questa rinascita è esplosa in tutta la sua magnificenza e semplicità. Magnifico perché in questo ambiente le composizioni più recenti, proprio quelle nate dall’unione artistica, mentale, emotiva tra Gianni e Claudio colpiscono e s’incuneano nell’ascoltatore ancor più che dalle casse dell’impianto casalingo; semplice solo all’apparenza, perché la destrutturazione e la rielaborazione in chiavi spiazzanti di tanti episodi di Cccp, Litfiba, CSI pare così tremendamente naturale, che ogni volta ti accorgi di come e quanto il musicista abbia a cuore ciò che ha ascoltato, ciò che ha composto, ciò che ha creato e che continua a metabolizzare nella sua vita.
Eccezionale Andrea Chimenti, che fa sue le parole di Ferretti, il lirismo di Battiato, la forza tramutata in delicatezza di Pelù; sorprendente Brotto, tra chitarra a doppio manico, sitar e quella che può esser definito, per rimanere nel tema principe del tour, un incontro tra sitar e viola; essenziale, in entrambe le accezioni del termine, Alessandra Celletti, con cui “Annarella” torna in vita tra malinconia ed estrema delicatezza; folle Simone Filippi con la sua batteria-fai-da-te, dove apparecchiature elettroniche capaci di ricreare le più disparate percussioni incontrano le tradizionali (o quasi) pelli; insostituibile Antonio Aiazzi, nascosto nella sua postazione tra tastiere, synth e fisarmonica (e non sveliamo il finale, pregiatissima chicca per amanti di New Wave e Litfiba dei primissimi tempi). Emozionante Gianni Maroccolo, la maggior parte del tempo con gli occhi chiusi e con dipinta sul volto l’espressione di chi, in quel momento, è un tutt’uno con ciò che si sta propagando nell’aria.
Nulla è andato perso, nulla deve perdersi. Più che un concerto, un’esperienza. Più che un tour, è il far tappa di un araldo che narra la propria vita in maniera particolare, ammaliante, che esalta l’importanza dell’incontro, che trasmette il suo amore per ciò che da passione si è tramutato in essenza.
P.S.: Le foto presenti in questo articolo sono tratte non dal concerto di San Ginesio, bensì dalla data del 14 febbraio 2016 tenutasi a Verona (QUI la fotogallery completa)