Ammettiamolo, chi se l'aspettava che i Blondie ci mettessero quarant'anni per arrivare a fare un concerto in Italia? C'era chi ci aveva completamente perso le speranze e all'annuncio della data di ieri a Milano ha esultato come se la propria squadra del cuore avesse fatto il gol della vittoria.
Non confermo ma non nego che questa sia stata la mia reazione, seguita dal repentino acquisto di due biglietti seduta stante.
Così partiamo da Bologna, preghiamo un po' tutto il pantheon di divinità a nostra conoscenza che non piova e ci dirigiamo in un uggioso pomeriggio di inizio Settembre verso Milano, presso il Circolo Magnolia, sede scelta per appunto il primo concerto italiano dei Blondie.
Ora, bisogna specificare un paio di cosette: l'età media, sia sul palco che in platea, era piuttosto alta. Qualche ragazzino venuto con i genitori abbassava la media, ma si viaggiava sulla media dei 60. Per cui non è stato assolutamente un concerto movimentato. E forse quest'età media così alta ha un po' pregiudicato il successo della giovanissima band di supporto. Un peccato, e vi spiegheremo più tardi perché.
Seconda cosa, leggermente polemica: i Blondie, includendo anche gli anni dello split, festeggiano quest'anno il quarantesimo anniversario con un greatest hits e un nuovo album, ma quarant'anni sono tanti. E si sentono tutti. Attorno a me sentivo gente lamentare la scarsa mobilità dei musicisti. A chi si sente di fare obiezioni del genere dico: stateci voi sul palco a quasi 70 anni suonati.
Finisce qui la polemica. Passiamo al concerto vero e proprio.
In apertura troviamo i The Carnabys, giovane band londinese all'esordio. Per descrivere la loro proposta musicale si potrebbe dire che hanno fatto incetta a man bassa di sound e temi alla Coldplay e Snow Patrol, unito tutto con un po' di alternative alla Franz Ferdinand, aggiungendo un tocco di primi U2 dei tempi di October e War, aggiungendo un batterista che viene palesemente da frange più “estreme” del rock e un abbigliamento che farebbe felice Nick Rhodes. Praticamente i fratelli un po' appesantiti dei Kodaline con un tocco di new wave. Abbastanza azzeccati per aprire ai Blondie, bisogna ammetterlo.
Nulla di nuovo sotto il sole, sugli scaffali dei negozi e sui palchi, però il mix è più che piacevole, i brani sono estremamente orecchiabili e cantabili, entrano in testa facilmente e il concerto è godibilissimo, forse i volumi della batteria erano un tantino esagerati ma era sopportabile anche stando piazzati di fronte alle casse per cui niente che potesse rovinare l'esibizione dei cinque sul palco, che possiamo definire bravi e con netti margini di miglioramento.
Ora sorge il “problema” legato all'età media. Sì, c'erano anche dei ragazzi o adulti al di sotto dei 40, chi sta scrivendo ha 25 anni, ma eravamo veramente pochi rispetto ai fan old-school della band americana, e il genere diciamo che, per quanto azzeccato alle orecchie dei più giovincelli, poteva risultare non diciamo indigesto ma quanto meno anonimo ai più in là con gli anni. Solo verso la fine, dopo 30 minuti abbondanti sul palco e una cover bellissima di “I Wanna Be Your Dog” di Iggy Pop, una parte di pubblico si è scaldata abbastanza da applaudire ad un volume decente o anche solo tentare di cantare assieme al rosso-crinuto frontman, che tra l'altro è sceso dal palco a distribuire biglietti con tutti gli indirizzi per i social network della band e a firmre autografi sugli stessi mentre i tecnici erano impegnati nel cambio palco.
Ebbene, l'attesa è finita, sono le 22:30, si spengono le luci e dopo una breve intro corale è ora dei Blondie, che finalmente, dopo quarant'anni, calcano un palco italiano. E finalmente il pubblico si sveglia e si inizia a cantare sul serio. La setlist è ben bilanciata, cinque brani scelti dal nuovo album “Ghost Of Download”, un mix di new wave, reggae, elettronica e hip hop, e il resto classici, più una cover tanto bella quanto inaspettata di “You've Gotta Fight For Your Right To Party” dei Beastie Boys. 90 minuti di salto nel passato quando il punk doveva ancora esplodere, quando il chiodo era la giacca d'ordinanza in tutte le stagioni e il tempo passa anche troppo in fretta. Si parte con “One Way Or Another” e si capisce fin da subito che Debbie Harry, alla soglia dei 70, pur portandoli divinamente e con una grinta che farebbe paura alla più sgallettata ventenne, non è più la balda ventinovenne di quando i Blondie furono fondati. Tenendo conto di questo, la sua esibizione è esemplare. Ci mette un po' a ingranare e si capisce che non riesce più a mettere nella propria voce quel tono graffiante di quando era più giovane, certi acuti non li regge più e ha rimaneggiato leggermente alcune linee vocali (la hit del grande ritorno post split “Maria” per esempio è molto più alta di tonalità nella strofa e più bassa nel ritornello, la già citata “One Way Or Another” non è più così “graffiante”, “Rapture”, pur mantenendo la parte centrale quasi rappata, è lasciata per buona parte lasciata al pubblico), ma vederla sul palco è splendido. La biondina sprizza energia e non rimanerne contagiati è difficile anche dal fondo del locale (bello pieno, tra l'altro).
Dal punto di vista del pubblico la risposta è eccellente, in stile tipicamente italiano non c'è un attimo dove la piccola folla non canti, al punto che a volte la Harry semplicemente gira il microfono e fa parlare i fan, che rendono brani come “Hanging On The Telephone”, “The Tide Is High”, “Rapture” e “Mile High” interattivi e ancora più divertenti, per poi quasi ammutolirla del tutto con la chiusura, “Dreaming”. Bello vedere come la setlist, bilanciatissima, chiuda con il primo successo della band. Una chiosa degna di nota. Certo, “X Offender” non presente in scaletta è un peccato, e se n'è sentita la mancanza, ma se questa “lacuna” ha permesso l'aggiunta di brani come “War Child” e “A Rose By Any Name”, va bene così. Diventa difficile non sorridere al pensiero che, tra alti e bassi, questa band calca i palchi del mondo da quarant'anni e pare sia uscita fresca fresca dal CBGB tanto è ancora l'entusiasmo che ci mettono.
Tirando le somme, la prima venuta in Italia dei Blondie è un successo, di pubblico, di show, di sentimenti e un viaggio attraverso quattro decenni di musica (e che musica) con tutti i cambiamenti cui la band è passata attraverso, dal punk al rock alla new wave all'elettronica al reggae, c'è tutto.
Complimenti inoltre per la scelta del secondo chitarrista, giovane e con una versatilità spaventosa, il tutto mescolato ad una tenuta di palco spettacolare. C'è solo da sperare di non dover attendere quattro decenni ulteriori per rivederli da queste parti.