Come spettacolo la proposta di Greg Lake per questo suo tour, dal titolo "Songs Of A Lifetime", è scarna, quasi riduttiva per l’esecuzione di una musica che invece spesso è sinfonica, polifonica e poliritmica. Presentarsi da solo sul palco ed esibirsi su delle basi sulle quali Lake poggia la sua voce e inserisce la sua chitarra infatti non è un fatto normale, non è una cosa che ci si aspetterebbe. Ma la presenza viva dell’artista, la sua facilità e generosità nel porgersi, l’immediatezza con cui offre brani pieni di sostanza come offrisse canzoncine da festival fanno superare presto e volentieri questo limite. Lake, con la voce appena ingrossata dagli anni ma sempre chiara, limpida e sicura, così riconoscibile per la sua pulizia e la sincerità, in questa chiave propone tutto il suo repertorio storico, dai brani portati al successo con Emerson e Palmer a quelli rimasti indelebili nel tempo dei King Crimson; inutile elencarli, perché ci sono tutti, anche se meritano una menzione almeno “From The Beginning” e “Still You Rurn Me On”. Ripercorrendo la sua vita, sempre contrassegnata dalla passione per la musica, Lake poi non scorda nemmeno Elvis né i Beatles, come pure trova spazio per “Shakin’ All Over” e “People Get Ready”. Per farlo l’artista cambia gli strumenti come se fossero abiti; sfoggia una decina di chitarre, tutte bellissime e sconvolgenti.

Il tour trova appunto giustificazione nell’esigenza di Lake di mettere in scena la sua autobiografia, uscita l’anno scorso, in cui rivive il suo percorso umano e musicale nel tempo, il suo rapporto con la musica, tutta la musica che ha avuto un significato per lui. E fra un brano e l’altro Lake si racconta, con naturalezza, come in un recital. La scoperta della sua passione, la prima chitarra tanto desiderata e ricevuta per Natale all’età di undici anni, le lezioni che prendeva dallo stesso insegnante con Robert Fripp, che era anche suo compagno di scuola. E ancora l’emozione davanti ad uno spettacolo-lampo di Elvis, il suo attaccamento per l’Italia e per la Francia, la collaborazione con Peter Sinfield e Gary Moore, l’aneddoto su Barry Godber che creò l’icastica copertina di “In The Court Of The Crimson King” per poi morire inaspettatamente solo pochi giorni dopo averla consegnata, appena più che ventenne per un improvviso attacco di cuore.

Così il Live Club di Trezzo (che merita il riconoscimento di locale davvero ben organizzato e funzionale, al punto che non sembra di stare in Italia, ma in Germania o in Olanda) diventa il tinello di casa, o la sala di un bar qualunque dove Lake non fa un concerto ma conversa e condivide con chiunque gli stia di fronte le proprie esperienze e le proprie emozioni. Lo fa apertamente, senza darsi importanza, con una confidenzialità mai affettata ma sempre gentile e disponibile. Lo fa col suo inglese piano, comprensibile, senza il tipico quanto fastidioso “clipping” della lingua, che dimostra ancora di più la sua volontà di farsi capire, di entrare in contatto con le persone. E quando non ci riesce a parole ci riesce sempre così bene con la sua musica, e con un atteggiamento (che quasi non vorremmo) da antidivo che dimostra tutta la sua spontanea, umile umanità.