Ma veniamo al report di questa serata più che riuscita. Ad aprire la kermesse dell'Heidenfest sono gli islandesi Skálmöld, formazione di sette elementi di recentissima creazione (2009) dedita ad un viking metal estremamente melodico e atmosferico, grazie a cori e a marcati inserti di chitarra atti a stemperare la ruvidezza della musica proposta. Il background non-metal di vari membri è palese, basti pensare ad alcuni forti elementi tipici dell'hard rock nelle linee di chitarra o al cantato che non è propriamente uno scream, ma una voce profonda e gutturale. Nel complesso, per quanto una buona mezz'ora sia troppo poco per giudicare la qualità di una band in sede live, l'impressione è più che positiva: il risultato nel suo totale è estremamente piacevole e accattivante, poiché i cori tradizionali islandesi non sono una cosa che si sente tutti i giorni. Una piacevole sorpresa in ambito live.
Più pesanti e decisamente più goliardici i norvegesi Trollfest, ormai famosi per il loro incredibile sound a metà tra il black/folk metal e la polka, per non parlare dei testi a dir poco esilaranti. Anche per loro un totale di mezz'ora a disposizione sfruttato fino all'ultimo secondo. Il tono del concerto lo si capisce fin da subito, quando il frontman sale sul palco agghindato come una bottiglia di Budweiser, tappo corona incluso. C'è da dire che la musica dei Trollfest si presta moltissimo a questo tipo di show che non si prende troppo sul serio. Qui lo shred lo si fa con la fisarmonica e il sassofono, si sale sul palco in pantaloncini corti e pelli di pecora, si suona (bene) per divertirsi e per far divertire il pubblico. Vista recentemente in occasione dello scorso Metal Camp, si può tranquillamente affermare che la band è valida, sia nell'ambito festival, che nel concerto più piccolo. La capacità di intrattenere il pubblico non manca al frontman, che non si risparmia e chiama più volte il circle pit e il wall of death. Purtroppo dalla nostra posizione non abbiamo potuto osservare gli effetti di tale richiesta, ma il pubblico in generale è rimasto molto colpito dalla divertentissima esibizione. Inoltre sull'ultima canzone sono apparsi sul palco gli stessi Skálmöld a dare man forte ai colleghi. Il palco dell'Estragon non è mai stato così pieno, forse solo quando in occasione del concerto degli Haggard.
Si fa rotta verso band un po' più serie, ma non per questo meno abili nell'intrattenere gli astanti. Ormai veterani del palco bolognese, gli Arkona sfoderano una nuova formazione (si è aggiunto un suonatore di flauto e cornamusa in pianta stabile) e nei quarantacinque minuti a loro disposizione riversano sul pubblico dell'Estragon un po' di cultura antico-russa. La band pesca a piene mani dal nuovo album "Slovo", uscito da un paio di mesi, senza dimenticare il cavallo di battaglia "Goi, Rode, Goi!". Come sempre la macchina da guerra russa si mette in moto e sfodera un folk metal potentissimo, coadiuvato da un accorto uso delle basi orchestrali che marcano molto il segno e la tradizione sinfonica della loro madrepatria. Lo show è potente, il pubblico risponde più che bene e finalmente l'Estragon si riempie a livelli accettabili e non mancano sul fondo del locale i balletti di gente più o meno ubriaca, che sulle melodie un po' più allegre si getta in improvvisate danze pseudo-folk subito imitata da altri avventori. L'unico difetto della performance è la quasi assoluta mancanza di canzoni estratte dai predecessori di "Goi, Rode, Goi!". È un peccato, perchè per quanto "grezze" rispetto all'attuale proposta dei Nostri, le vecchie canzoni degli Arkona sono altrettanto potenti e dotate di un grande impatto (molti fan le preferiscono addirittura a quelle più recenti). Una setlist più bilanciata sarebbe auspicabile per il futuro.
Si arriva così a metà serata: dopo un rapidissimo cambio di palco tocca agli scozzesi Alestorm. Con un nuovo album da poco arrivato nei negozi ("Back Through Time"), i Nostri riescono a mescolare bene le carte per creare una setlist che spazia a dovere tra i vari capitoli della loro discografia. Spesso "accusati" di essere approssimativi sul frangente live, la differenza rispetto all'ultimo show cui abbiamo assistito lo scorso Luglio è abissale. L'aggiunta di un tastierista ha migliorato notevolmente la resa della band scozzese, le stecche si sono ridotte notevolmente e la mobilità del cantante Bowes ne ha risentito in positivo. Il frontman non è più costretto a rimanere fermo davanti al microfono per via di alcune parti relativamente complesse da suonare sulla sua keytar. Inoltre il sound in generale migliora, dato che la band non fa uso di basi. Il risultato, da un punto di vista tecnico, è sorprendente, soprattutto per chi si era abituato ad assistere a show raffazzonati e pieni di errori che bonariamente venivano salutati con un sorriso dai fan e dagli avventori meno pignoli. Di certo siamo ancora lontani dalla perfezione raggiunta da band più rodate, ma lentamente ci stiamo avvicinando. Con il loro power metal piratesco, i quattro (cinque in questo caso) di Perth sfoderano tre quarti d'ora di divertimento, incitando all'ubriachezza molesta e a prendere la prima mappa del tesoro e buttarsi alla ricerca del tesoro per i sette mari. Mancano alcuni grandi "classici" come "Leviathan" e "Nancy The Tavern Wench", ma la loro assenza è sopperita da "Death Throes Of The Terrorsquid", eseguita con la partecipazione a sorpresa di Vreth dei Finntroll. Un'uscita inaspettata quanto piacevole, che rende la canzone più simile alla versione presente su CD.
Manca poco alle 10 quando, montato il palco a tempo di record, salgono sul palco i Turisas. Alla loro seconda volta in quel di Bologna, i finlandesi tirano fuori dal cilindro (o forse sarebbe meglio dire dall'elmo da battaglia) lo show migliore della serata, tirato ed impeccabile. L'assenza della fisarmonica si fa sentire relativamente poco, a malapena si nota a dire la verità, e l'energia sprigionata dal gruppo si riversa sul pubblico che, finalmente, esplode come dovrebbe e reagisce nella maniera migliore. Anche in quest'occasione non mancano balletti e gente che saltella nelle retrovie, corni vichinghi che si alzano a mo' di saluto, persone che cercano di cantare. Un buon mix tra canzoni vecchie e nuove, con un ovvio occhio di riguardo per l'ultimo "Stand Up And Fight". L'ormai conosciutissimo (e imitato) facepainting rosso e nero, tra i loro trademark, rende riconoscibile la band a chilometri di distanza, e come se non bastasse i Nostri possono contare su un sound esplosivo e decisamente bombastico ottenuto grazie alle tastiere e al violino, grandissimo protagonista della serata, a metà tra lo shred e l'accompagnamento folk più puro. Tra "Once More", "Stand Up And Fight", "To Holgard And Beyond" e "Stand Up And Fight" il pubblico si scatena, esattamente come la band sul palco, e la temperatura all'interno del locale si alza improvvisamente di qualche grado. Grazie al grande carisma del frontman e ad un'ottima coesione tra i membri del gruppo, oltre che ad una tenuta del palco invidiabile, i finlandesi infiammano l'Estragon e, al termine del tempo a loro disposizione, lasciano il pubblico con l'amaro in bocca, perchè spettacoli così vorremmo non finissero mai.
Non sono ancora le 23 quando le luci si spengono e sul palco salgono gli ormai inossidabili Finntroll. Presentarli ormai è inutile: sono probabilmente la più famosa band del genere, quando si va ad un loro concerto, si ha la certezza quasi matematica che si assisterà ad un ottimo concerto, carico ed energico. Di fatto, anche in questo caso, le aspettative non vengono meno. Come da programma, l'energia e la cattiveria dei troll finlandesi non si trattiene e si riversa nel locale tramite lo scream di Vreth, giovane frontman della band, e le sfuriate della coppia di chitarristi al suo fianco. Dire che il pubblico è in delirio è poco. La band è in piena forma, l'entusiasmo tra gli spettatori dilaga come un fiume in piena e l'attenzione è tutta focalizzata sulla band, che rigurgita una canzone dietro l'altra, compresa la cover di "The God That Failed" dei Metallica con Dani Evans degli Alestorm come ospite. L'immancabile "Trollhammaren" è il colpo di grazia per molti dei fan accorsi per vedere i loro beniamini live. Il ritmo e la tastiera trascinano anche chi, fino a quel momento, se ne era stato sul fondo dell'Estragon a godersi il concerto in santa pace, sperando di respirare un po' di aria. Chiude, forse troppo presto, "Jaktens Tid" con Masha degli Arkona a dar man forte.
Tirando le somme, di tutti i vari Pagan e Heidenfest a cui abbiamo assistito, questo è sicuramente tra i più riusciti. Durante questi mini-festival le possibilità che qualcuno non si senta in piena forma, considerando l'intensità del tour, sono piuttosto alte. In questa occasione non si sono tuttavia visti cali o personaggi stanchi, ma solo band molto cariche che avevano voglia di suonare e divertirsi. E fa piacere vedere come spesso e volentieri le formazioni minori, ma anche quelle più famose, abbiano voglia di mescolarsi al pubblico e godersi il concerto dalla prospettiva dei fan, e non disdegnino di scambiare due chiacchiere con gli avventori, magari davanti ad una birra o due. Dispiace vedere, invece, come molta gente passi il tempo a disposizione delle band "minori" fuori dal locale, come se non avesse pagato il biglietto, per poi entrare solo ed esclusivamente per godersi il concerto degli headliner. È un comportamento che non capiremo mai, anche perchè preclude la possibilità di scoprire nuove band e di apprezzare gruppi che magari sono stati erroneamente snobbati.
Un ottimo concerto, quasi sei ore di divertimento e relax tra amici vecchi e nuovi, con delle belle sorprese e tanto, tanto metallo.