Suede -The Blue Hour European Tour
04/10/18 - Fabrique, Milano


Articolo a cura di Fabio Rigamonti
Per chi scrive, ieri sera i Suede avevano molto da farsi perdonare. Parliamo dell’ultima calata italiana agli Idays edizione 2016, anche se a dirla tutta quella volta non fu troppo colpa loro: messi come headliner del terzo giorno dopo i Biffy Clyro, con un pubblico al 90% presente solo per i Biffy Clyro, con un caldo infernale estivo…insomma, le premesse erano tutte a favore di quella che si è poi negli effetti rivelata essere un’esibizione nervosa e bizzosa, poco sentita da parte della band. Al Fabrique di Milano, invece, non c’erano scuse di contesto: in mezzo ad un pubblico cross-generazionale presente unicamente per loro come quello di ieri sera, i Suede non potevano che sentirsi a loro agio. Ma ne riparleremo tra poco.
 
suede_fabrique_milano_2018_livereport_01 
 
Per dovere di cronaca, ogni storia è bene narrarla dal principio, quindi da Gwenno, opening act prescelto per la serata. L’ex Pipettes ha oramai cambiato completamente volto nella sua carriera solista: due dischi all’attivo, uno inciso in Welsh ed uno in Cornish (antichi dialetti Britanni di diretta derivazione celtica attualmente utilizzati da poche centinaia di persone), su un sound disperso tra l’istintività selvaggia di Sinead O’Connor, il rigore melodico retro-settantiano di Florence Welsch, ed un sogno dreamy anni ’80 che, dal vivo, pare quasi dilungarsi nei lascivi riverberi della shoegaze. Appare in bianco, posseduta letteralmente dalla sua musica, e la sua esibizione convince. Peccato per un pubblico non eccessivamente reattivo, nonostante la nostra abbia tentato in tutti i modi di insegnare alla platea i versi di “Eus Keus?” tutti incentrati su una spasmodica, ed altrettanto metaforica, ricerca di formaggio. Ad ogni modo, una mezzora molto gradevole, di quelle che invitano all’approfondimento.
 
suede_fabrique_milano_2018_livereport_02 
 
Rapido cambio di palco, e puntualissimi sul programma alle 21:30 i Suede assaltano il Fabrique…in modo estremamente oscuro e carico di pathos. E’ “As One”, difatti, l’opener prescelta dalla scaletta, un’introduzione perfetta tratta dall’ultimo parto gothic-opera oriented “The Blue Hour”, un brano oscuro che porta subito il pubblico in alto, verso i lidi di una partecipazione da concerto heavy metal, più che glam rock altamente estetico come i Suede demanderebbero. In senso figurativo, perché Brett Anderson è un animale da palcoscenico quasi perfetto: corre, salta sulle spie e si lancia innumerevoli volte in mezzo al pubblico. Letteralmente: almeno quattro brani in scaletta sono stati da lui interpretati in mezzo alla gente. Ed è un atto magnifico, ma il sottoscritto osa dare un consiglio a questo proposito: se si vuole coinvolgere appieno la gente nella performance scendendo tra il pubblico, è bene farlo come Nick Cave insegna, ovvero in un modo che non faccia sentire escluso chi non partecipa tra le prime file. Sparendo dal palco per interi brani come invece usa fare Anderson, aumenta il senso di straniamento per tutta la platea, che sentono una voce e vedono una band esibirsi senza frontman. E questo scritto da uno che stava in terza fila e questa cosa l’ha percepita: non oso immaginare come sia stato per chi stava tra le retrovie di un Fabrique non in modalità sold-out, ma comunque quasi completamente riempito. Al netto di questo e di una voce non sempre impeccabile, è impossibile non ammirare Brett Anderson per il cavallo di razza quale è: un sinuoso serpente ammaliante e rock’n’roll allo stesso tempo, che si esibisce oggi esattamente come faceva nel 1995, forever young come solo a pochi riesce in modo convincente nel mondo della musica.


E il pubblico ha ripagato in pieno di tutta questa energia: non solo i timori di una scarsa partecipazione data da una risposta hipstericamente contenuta su Gwenno si sono letteralmente dissolti sulle note di una “Outsiders”, ma è stato bellissimo notare la biodiversità tra le fila del Fabrique. L’età media era piuttosto consistente, certo, ma erano presenti molti giovani, che conoscevano e reagivano con entusiasmo più che smodato sui brani posti dalla magica triade  “Suede”, “Dog Man Star” e “Coming Up” di inizio carriera dei Suede, opere concepite quando quei ragazzi ancora non avevano un gusto musicale (o un’esistenza probabilmente, per diamine) e che attraverso questo amore perdurante sanciscono il loro valore storico anche per le generazioni future.

 
Ma non è solo questo: chi scrive aveva alla sua sinistra una triade di ragazze giapponesi che sembravano uscite dalla Fashion Week di Milano che urlavano istericamente “Uso!” e “Sugoi!” ogni volta che Anderson faceva volteggiare il microfono e faceva l’amore col ventilatore, alla sua destra un omone preda degli effetti di non bene precisate sostanze psicotrope che tentava di fare l’amore con le ragazze tra le prime fila, e davanti una signora con lo sguardo timoroso di chi non capisce bene in che posto sia capitata. Una varietà umana incredibile, accumunata dalla passione per quel brit rock oramai dimenticato, ma che gli Suede portano avanti fieramente in modo amorevolmente caparbio.

 
La risposta, poi, è stata travolgente, tra mani alzate, cori ed entusiasmo a profusione, tanto che Anderson sembrava davvero molto colpito al termine dell’esecuzione del classico “Trash”, al punto da ringraziare il pubblico con un momento acustico estremamente intimo. Oddio, lo fa ad ogni data ci racconta Setlist.fm, ma a Milano ha scelto “Oceans”, ed un pezzo così dolce ha creato ancora più intimità, una cosa purissima che – ci auguriamo – abbia potuto sentire anche chi non stava davanti, visto che nulla era amplificato: né la voce, né la chitarra. Da davanti sembrava di stare a casa di Brett dopo un brandy davanti al suo focolare, speriamo che nello scriverlo non si scateni l’invidia.
 
suede_fabrique_milano_2018_livereport_03 
 
La scaletta ha prediletto sì l’ultimo nato in discografia, ma come si ha già avuto modo di scrivere non si è risparmiata sui classici, per un totale di 20 brani (uno in meno rispetto alla media di questo tour. Vittima sacrificale d’eccezione: “Filmstar”) equivalenti ad un’ora e mezza di musica senza un minuto morto e dai suoni purissimi (persino il primo brano, storicamente più una prova per il mixer, è riuscito senza alcuna sbavatura sonora).

 
Un concerto da cui si è usciti tutti contenti e soddisfatti, al punto che qualcuno commentava con: “concerto della vita”. Ecco, magari quello no. Ma sicuramente un eccellente live di pura musica rock vissuta in modo rock. Una rarità di questi giorni, un’energia quasi impercettibile tra tutte quelle nuove band che si professano rock nell’anima, ma vivono più di estetica che di emozione. 

 
E questo ve lo scrive uno che magari è vecchio fuori, ma molto giovane dentro.  Come dimostrano di essere i Suede puntualmente ad ogni loro concerto da titolari, appunto.


SETLIST:

As One
Wastelands
Outsiders
Cold Hands
The Drowners
We Are The Pigs
So Young
He’s Dead
Tides
Roadkill
Sometimes I Feel I’ll Float Away
Heroine
It Sarts And Ends With You
Metal Mickey
Trash
Oceans (Brett solo acustic)
The Invisibles
Flytipping

Encore:
Beautiful Ones
Life Is Golden




Intervista
Anette Olzon: Anette Olzon

Speciale
L'angolo oscuro #31

Speciale
Il "Black Album" 30 anni dopo

Speciale
Blood Sugar Sex Magik: il diario della perdizione

Speciale
1991: la rivoluzione del grunge

Speciale
VOLA - Live From The Pool