Sacred Reich - Awaking Tour 2019
19/11/19 - Legend Club, Milano


Articolo a cura di Icilio Bellanima

I 23 anni intercorsi tra "Heal" e "Awakening", l'ultimo album (quasi) fresco di stampa dei Sacred Reich sono nulla, nulla in confronto ai 30 che i fan italiani hanno dovuto attendere per vederli dal vivo nel Belpaese, con tanto di simpatico e loquace Phil Rind, l'unico membro fondatore rimasto, che ha colto l'occasione per togliersi un sassolino dalla scarpa, accusando i promoter di non aver riposto fiducia in loro. Il mancato sold-out nel pur gremito Legend Club lascia intendere che la verità, forse, è sempre stata nel mezzo (anche se, c'è da dirlo, il costo non proprio popolare del biglietto non ha aiutato di certo), ma una cosa è certa: del quartetto di Phoenix si è sentita la mancanza. E, nonostante il tempo inesorabile che avanza, la forma (fisica) che perde smalto, i capelli che si tingono sempre più di bianco, pare proprio che il thrash metal, quando suonato con passione e tenacia, mantenga giovanissimi, almeno nello spirito.

 

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Giovani come, si fa per dire, i Night Demon, attivi “solo” dal 2011, ma dalla proposta che sprizza vintage da ogni poro, un heavy metal classico e irresistibile cantato a squarciagola dai presenti, quasi tutti a loro agio con i brani del terzetto californiano, che scalda a dovere il pubblico con una scaletta che non si vergogna di tributare in maniera esplicita capisaldi del genere, dall'intermezzo con "Overkill" dei Motorhead al gran finale con "War Pigs" dei Black Sabbath, una delle cover suonate, in passato, proprio dagli stessi Sacred Reich. I 45 minuti a loro disposizione scorrono via che è un piacere, con i tre perfettamente in grado di catturare l'attenzione e la passione del pubblico, sincronizzati tra assoli, sguardi d'intesa e slanci atletici, e c'è persino spazio per un teatrino squisitamente kitsch con un Tristo Mietitore evocato durante "The Chalice". Ottima performance, grande presenza scenica, un antipasto perfetto prima della portata principale.


Non senza un pizzico di ironia, i Sacred Reich scelgono "The boys are back in town" dei Thin Lizzy per annunciare il loro ritorno sulle scene, lontano dai fasti e dalle fanfare, bensì caratterizzato da una estrema umiltà, nonostante l'importanza della band, (mai realmente tradotta in vero e proprio successo commerciale, purtroppo), o la militanza dello storico batterista Dave McClain nei Machine Head, una lunga parentesi (dal 1997 al 2018) che ha interrotto la sua permanenza nei Sacred, ma che lo ha visto tornare all'ovile lo scorso anno.

 

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Non c'è spazio né tempo per fare le superstar, e i nostri sciorinano il meglio della loro carriera, riassumendolo in 15 brani schiacciasassi suonati con estrema perizia ed energia per circa 1 ora e 20 di musica, concedendosi giusto qualche siparietto, tra il serio (quando l'argomento si fa delicato, tra immigrazione e politica - il combo americano, del resto, non ha mai nascosto le sue opinioni in tal senso) e il faceto (quando viene presentata la band e il giovanissimo chitarrista ritmico Joey Radziwill, nato proprio a ridosso dell'uscita di Heal). Da "The American Way" a "Independent", da "Who's to Blame" all'immancabile, conclusiva, devastante "Surf Nicaragua", il pezzo più amato e celebre, passando per i brani più veloci e brutali del nuovo lavoro, i nostri dimostrano di avere ancora le palle di stare su un palco, tra l'imponente presenza di Rind, gli assoli taglienti e precisi di Wiley Arnett (in formazione dall'86, non proprio ieri, insomma), e il drumming massiccio di McClain.


Non c'è traccia di ruggine, né di patetico tentativo di spacciarsi per giovani virgulti del metal: i Sacred Reich non hanno bisogno di fingere, né di appagare facili palati. E gli si vuole bene anche per questo.


Bentornati.



Setlist Sacred Reich

 

Manifest Reality
The American Way
Divide & Conquer
One Nation
Awakening
Independent
Free
Crimes Against Humanity
Who's to Blame
Ignorance
Salvation
Love...Hate
Killing Machine
Death Squad
Surf Nicaragua

 




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