Un elevato entusiasmo è già, infatti, palpabile quando, alle 20.30 circa, fanno il loro ingresso in scena i Destrage, band di casa che dimostra subito di godere di un pubblico molto nutrito ed affezionato. I ragazzi di Milano aprono proponendo pezzi del loro ultimo, acclamato, "A Means To No End", scaldando a dovere i già numerosi presenti e scatenando un consistente circle pit sulle note di "Don't Stare At The Edge".
La potenza della batteria di Federico Paulovich accompagna il growl di un energico Paolo Colavolpe nell'aizzare la folla sempre più agitata sotto al palco, mentre la band alterna materiale nuovo a brani di "Are You Kidding Me? No.", release datata 2014. I rigidi riff e il tapping sfrenato delle chitarre fa così trascorrere la mezzora concessa ai Destrage, che si congedano con uno dei loro cavalli di battaglia, "Purania".
Giusto il tempo di un rapido cambio palco e a fare il loro ingresso in scena sono i The Contortionist, band di Indianapolis che già avevamo potuto apprezzare sui nostri palcoscenici un anno fa, in occasione delle loro tappe italiane a supporto di niente meno che i Tesseract. La nutrita line-up parte leggermente in sordina allo scopo di ricreare una lenta atmosfera, impreziosita dalle tastiere di Eric Guenther, salvo poi scatenarsi attraverso le potenti ritmiche incalzate dal batterista Joey Baca ed il bassista Jordan Heberhardt, sulle quali la voce di Michael Lessard appare a tratti un po' debole.
Attorno alle 22.45 salgono finalmente sul palco i Periphery. Con qualche minuto di ritardo, la band guidata dal frontman Spencer Sotelo entra in scena e si fa subito perdonare, scaldando il pubblico con due brani del periodo di "Juggernaut": "A Black Minute" e "Stranger Things". Il djent della band di Washington D.C., considerata una delle pioniere del genere, scuote la Santeria per mezzo delle chitarre di Misha Mansoor e Mark Holcomb, che si rincorrono attraverso corde a vuoto, armonici e pesanti distorsioni. È proprio la sintonia tra i due ad accendere i fan accorsi a Milano, che il vocalist incita con comandi precisi: "circle pit!".
La sezione ritmica è orfana di Adam Getgood, bassista ritiratosi dall'attività in tour da ormai un anno (ma comunque citato e ringraziato dalla band), ciononostante l'energia sprigionata da Matt Halpern alle pelli conduce una performance che si spinge in una parte centrale composta dai pezzi più recenti di "Periphery III: Select Difficulty". Il bel chorus di "Marigold" fa alzare un coro unisono in sala, che prosegue scatenato sulle note di "Prayer Position". Il tempo di estrarre gli accendini arriva quando Mark Holcomb ripulisce un attimo la sua chitarra per farsi accompagnare nella cover strumentale di una delicata "Memento", degli Haunted Shores.
Attraverso "Psychosphere" e "Masamune" si giunge poi all'epica conclusione che ci si aspetta da serate di questo calibro. Dopo una breve ritirata della band ed una piccola improvvisazione di un divertito Halpern ad accompagnare con la batteria il grido di "one more song!" intonato dalla folla, l'encore è affidato infatti a "Lune" e al suo prolungato coro finale, che prosegue anche una volta che i musicisti hanno abbandonato gli strumenti e i presenti hanno iniziato lentamente a svuotare la sala.
Sudate e soddisfatte, le teste colorate dalle più originali acconciature, defluiscono verso l'uscita con le orecchie ancora fischianti, ma consapevoli dell'unicità dello spettacolo (per altro, sold-out) appena conclusosi.