John Butler Trio - HOME tour
26/10/18 - Atlantico, Roma


Articolo a cura di Simone Zangarelli

La sensazione di cavalcare le onde su una tavola da surf, e poi di camminare per gli spazi aperti del Queensland e infine di riposarsi sotto migliaia di stelle che illuminano l'oceano. Questa è stata la magia di John Butler e della sua straordinaria band, in grado di trasportare per oltre due ore un intero pubblico dall'Atlantico di Roma sulle coste dell'Oceano Pacifico australiano. E ancora molto altro ha offerto il John Butler Trio, approdato nella Capitale per la prima di tre serate consecutive nel nostro paese (toccherà poi a Padova e Milano) per presentare l'ottavo album in studio "HOME".

 

 

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L'apertura di Bobby Alu, cantautore anch'esso australiano, segna la cifra stilistica della serata: una simbiosi di chitarra e voce che attraversa i generi musicali, come il reggae, l'alternativa e il blues. Voce calda, attitudine estroversa e pezzi ritmati fanno entrare l'artista nelle grazie del pubblico.
Alle 21.30 salgono sul palco John Butler e la sua band: Grant Gerathy alla batteria e Byron Luiters al basso costituiscono il Trio, coadiuvato sulla scena da altri due talentuosi musicisti che suonano tastiere, all'occorrenza rinforzano le percussioni e soprattutto armonizzano straordinariamente con vocalizzi e cori. In questa formazione il frontman occupa un posto laterale sul palco, al pari degli altri compagni, come se non volesse mettere al centro lo sfoggio delle sue sopraffine capacità chitarristiche ma quel posto sostanziale spetta alle canzoni. Per questo fin da subito si percepisce la cura maniacale nell'esecuzione dei pezzi, vero e proprio fulcro dell'intero concerto. La tecnica è messa al servizio delle composizioni e in questo Butler gioca lo stesso ruolo dei colleghi.
Con "Wade In The Water" e "Just Call", i due nuovi singoli, i cinque musicisti presentano il nuovo lavoro "HOME", la cui realizzazione dal vivo conferisce la marcia in più che si fa fatica a trovare all'interno del disco. Butler e i suoi mostrano di aver assimilato i tratti stilistici del pop verso cui si stavano già muovendo con gli album precedenti. Il pubblico va in visibilio per "Betterman". Si fatica a credere ci sia una sola chitarra che, sebbene sia una 12 corde, fa il lavoro di 3 musicisti. Impressionante la coordinazione di Butler nel suonare riff molto complessi e mantenere l'intonazione vocale. Ritmiche stoppate e assoli in cui è un piacere perdersi trascinano il pubblico nell'universo del rock-blues, dove la dinamica fra i momenti più scatenati e quelli più leggeri la fa da padrona. Il basso ricopre un ruolo fondamentale nell'amalgamare le diverse parti del brano. Con il country-hoedown di "Don't Wanna See Your Face", in cui Butler passa al banjo, e il il blues improvvisato con la telecaster di "Faith", dove sfoggia un assolo distorto e sporco alla Prince, si arriva a "Pickapart". Un altro cambio stilistico per il Trio: si tratta di un pezzo alla Pearl Jam, rock tendente al grunge, dove la voce del chitarrista si trasforma in quella di un Eddie Vedder che canta a velocità supersonica. E ancora una volta colpisce l'attacco che Butler conferisce ad ogni nota, quella mano destra così decisa rende l'acustica un cavallo impazzito di cui tiene costantemente le redini e insieme ad essa è anche la voce a galoppare. L'utilizzo del distorsore nell'acustica è concesso a pochi, ma in questo il musicista australiano è un pioniere. Poi ancora in "Running Away" il chitarrista si scatena. Durante l'assolo appare divertito come un bambino, il sorriso sulla bocca visibile anche dalle ultime file, il movimento di tutto il corpo che accompagna le dita, l'intesa con il suo strumento tipica di un menestrello di strada
Arriva il momento in cui gli altri componenti lasciano il palco e rimane solo la chitarra, gli effetti e la sua voce. Una versione straordinaria di "Revolution" sta per incantare l'Atlantico. Prima di iniziare Butler chiede il silenzio assoluto del pubblico. Inizia a battere sulla chitarra, a creare dei pattern con la voce, registra tutto con la loop station e accade l'ennesima magia. Dal silenzio plasma un'intera band: cori, percussioni, basso e su questa base inizia a costruire il pezzo, come un artigiano che dal nulla crea un manufatto di rara bellezza. E come se le emozioni non fossero abbastanza, continua con la stupenda "Ocean". Non si sa bene in che modo, ma Butler è riuscito a far trattenere il respiro a tutti i presenti per l'intera durata del brano. Il chitarrista ha nelle dita il potenziale di un'intera orchestra: dal fingerpickin al tapping al pizzicato, ogni tipo di tecnica viene fuori e trova il suo spazio all'interno di una composizione che è il manifesto dell'uso moderno della chitarra acustica.

 

 

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Giunti all'encore, il gruppo ha ancora qualche asso nella manica. La canzone "Kimberly" riassume forse l'intera idea di arte di John Butler. "I am what I am and I am strong / Cause I got my land and I got my song" spiega perfettamente il concetto di arte collettiva, quella funzione unificatrice foriera di messaggi di pace e appartenenza, in pieno spirito di libertà, porta con sé una storia. La libertà da ogni vincolo espressa con la forma di un brano alla Dylan, chitarra, voce e armonica, mostra il lato fortemente ambientalista di Butler, legato indissolubilmente alla sua terra. Si passa poi all'elettro rock di "We Want More", dove le tastiere si moltiplicano, sparisce il basso e le percussioni rinforzano la parte strumentale, in cui l'ennesimo assolo di Butler lascia attoniti gli spettatori. Invidiabile la sinergia tra il quintetto, che in scioltezza procede verso la chiusura con l'attesa "Zebra". Prima di salutare Roma, Butler e i suoi regalano una versione del brano che incontra il reggae. È la fine di una bellissima festa.

 

La definizione chiara e lampante di quale sia il proprio concetto di arte, la musica messa al servizio della vita per raccontare una storia, un'emozione, dei desideri è il grande messaggio delle canzoni di Butler. La vera libertà è quella espressa a modo proprio, a volte anticonvenzionale. Quando questo coraggio, poi, incontra una forma esecutiva ineccepibile (il talento dei musicisti non sfigura rispetto al quello del frontman) il risultato non può che essere magico. È dunque nella collettività, sia quella che suona, sia quella che ascolta, la formula dell'incantesimo del Trio australiano. Per tutta la durata del concerto ci siamo sentiti liberi.

 

 

 

Setlist:

 

Wade In The Water

Just Call

Betterman

Don't Wanna See Your Face

Better Than

Faith

Blame It On Me

Running Away

Pickapart

Revolution

Ocean

Home

Miss Your Love

Funky Tonight

 

ENCORE: 

Kimberly

We Want More

Zebra  




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