Hellfest Day 2 - KISS, ZZ Top, Def Leppard and more...
21/06/19 - Hellfest Open Air, Clisson, Francia


Articolo a cura di Simone Zangarelli

Altro giro, altra corsa. Le migliaia di metallari e metallare giunte per godersi un'altra giornata di grandi concerti affollano gli spazi del festival già dall'orario di apertura. Mentre c'è chi ne approfitta per fare acquisti all'interno dell'Hellcity (una vera e propria "città" dove trovare minimarket, gadget e oggetti utili per sopravvivere al festival), c'è chi fa colazione con una birra fresca e chi si trova già sotto il palco per non perdersi nemmeno uno dei 60 artisti che riempirà la seconda giornata. All'ora di pranzo sul primo Mainstage è il momento del guitar hero Ritchie Kotzen, che suona e canta impeccabilmente sotto il sole cocente di Clisson, e poco dopo alla Warzone i Mad Sin, con il loro scatenato e sudicio punk/hardcore, fomentano il pubblico. Tra l'epico symphonic metal dei Moonspell e la spettrale potenza dei Candlemass all'Altar, sono i concerti dei due Mainstage ad attirare il flusso maggiore. Un day 2 all'insegna dei classici dell'hard rock e dell'heavy metal, con artisti del calibro di Def LeppardZZ Top e KISS.


Mainstage 1

 

Di nuovo sotto al palco principale, pronti per una nuova sequela di grandi artisti, a cominciare dai mitici Whitensake, che portano in scena il loro Flesh & Blood World Tour, dal nome del l'ultimo lavoro in studio uscito proprio quest'anno. Per loro una scaletta ridotta all'osso ma ricca dei pezzi più famosi. La band di Coverdale calca il palco con scioltezza, proponendo il sound inconfondibile che li caratterizza: le chitarre trasmettono forza e spessore, gli assoli sono elaborati, la voce dell'ex Deep Purple è fluida e spensierata, la sezione ritmica sfoggia un tecnicismo da far invidia. La prima parte dell'esibizione risulta in qualche modo fredda se paragonata alla seconda, quando i grandi classici irrompono in scaletta. Da "Still Of The Night" a "Is This Love" è impossibile non emozionarsi ascoltando le chitarre sfrecciare e raggiungere le note più alte, mentre Tommy Aldridge picchia le pelli con intensità e precisione. Tutto torna al posto giusto e la risposta del pubblico ne è la prova più eloquente.

 

Tocca di nuovo agli inglesi, stavolta ai Def Leppard l'arduo compito di intrattenere il pubblico dell'Hellfest, compito portato meravigliosamente a termine. Reduci dall'ingresso nell'Olimpo del rock, la Rock and Roll Hall Of Fame, quest'anno gli inglesi capitanati da Joe Elliot festeggiano l'anniversario di uno dei dischi di maggior successo, "Hysteria". Per questo iniziano subito con la doppietta "Rocket"/"Animal" per poi passare alla feroce "Let It Go", in cui la chitarra di Phil Collen funge da seconda voce. La dimensione del sound è gigante come i cinque carismatici musicisti sul palco, ognuno attento ai movimenti dell'altro e insieme solidi, collaudati. Il quintetto suona con l'eleganza tipica delle rockband britanniche, niente sbavature, e tanta energia. Pezzi come "Love Bites", la stessa "Hysteria" e "Pour Some Sugar On Me" elettrizzano la platea, il coinvolgimento è massimo, i Def Leppard danno tutto e si sente. La capacità di mettere ancora la stessa emozione nelle canzoni che suonano da quasi 40 anni è unica, il trasporto è palpabile nell'aria mentre dietro al palco il sole inizia a tramontare. C'è tempo per un'ultimo pezzo. Con "Photograph" i Def Leppard concludono un'esibizione semplice, efficace e per certi aspetti magica, al di là del puro sfoggio tecnico, con al centro le canzoni più belle della band.

L'ora più attesa scocca alle 23.00. Fuochi d'artificio, scritte luminose ed effetti senza precedenti mandano il pubblico in visibilio per restarci per le prossime due ore. Rampe semoventi rivelano le 4 leggende dell'heavy metal, gli headliner della seconda giornata di festival, i KISS. Paul Stanley, Gene Simmons, Tommy Thayer e Eric Singer fanno il loro ingresso sul palco suonando "Detroit Rock City". Ad ogni colpo di crash un'esplosione di fiamme attraversa il gigantesco mainstage. Sembra che il tempo non sia mai passato per la band di New York che esegue le coreografie degli anni '80 e suonano con la grinta degli esordi. Gli effetti speciali (i più esagerati del festival) sono il condimento di uno show a spettacolare: dall'assolo di batteria di Singer al cardiopalma sul finale di "100,000 Years" a quello di Thayer con la sei corde che para scintille, fino all'immancabile solo di basso di Simmons mentre mostra la lingua durante "God Of Thunder". Sembra di tornare indietro nel tempo quando attaccano con "Say Yeah" e gli altri classici, riescono a far cantare tutto il pubblico e dimostrano una presenza scenica folgorante. Nessuno tiene il palco come Stanley e soci. Le atmosfere diventano più cupe in "God Of Thunder", mentre il lato più dance emerge in "I Was Made For Lovin' You" cantata da Stanley su una piattaforma in mezzo al pubblico, i mille volti dei KISS si rivelano uno alla volta. Concludono il set con "Beth" suonata al pianoforte da Singer, l'inno della Kiss Army "Crazy Crazy Nights" e l'immancabile "Rock And Roll All Nite". Uno show monumentale, uno spettacolo da godere a tutti i livelli in cui è impossibile non divertirsi. Seppur la strada della band è arrivata al termine (dal nome del loro ultimo tour mondiale "End Of The Road") Il viaggio è stato qualcosa di epico e non da meno la sua conclusione.


Mainstage 2

C'è chi saluta il pubblico con l'ultimo tour e chi invece festeggia 50 anni di una carriera brillante. Ed ecco le leggende del blues rock fare il loro ingresso sul secondo mainstage. Un boato accoglie gli ZZ Top, il tridente composto da Billy Gibbons, Dusty Hill e Frank Beard alle pelli calca il palco con disinvoltura. Imbracciano gli strumenti da cui fanno scaturire il sound che li contraddistingue, quell'hard rock di stampo americano fatto di grossi riff di chitarra e basso e batteria scandita. La band è un mostro a tre teste pronto a catturare l'attenzione del pubblico: si inizia con una "Got Me Under Pressure" che fa subito scatenare la folla, i soli sono puliti e ricchi di groove, il tocco ancora deciso e personale. Non serve molto alla band di Houston, solo qualche luce e le dita che corrono sugli strumenti. Il risultato è uno spettacolo con classe da vendere, pulito e curato in ogni suono, il professionismo è una qualità che contraddistingue gli ZZ Top fin dagli esordi. "Jesus Just Left Chicago" viene suonata nel nome del blues più puro, con un groove lento che si trasforma in un solo esplosivo, mentre basso e batteria mantengono un ritmo shuffle. Sembra di vederlo il sud degli USA mentre Gibbons e i suoi scorrono il plettro sulle corde e le bacchette colpiscono le pelli: il suono è definito, preciso, evocativo. Si continua a rappresentare l'album capolavoro "Tres Hombres" con "Waiting For The Bus", connubio perfetto di strumenti con la chitarra sempre in primo piano dalla quale scaturisce un arcobaleno di armonici, e non può mancare il grande classico "La Grange". Il pubblico si scatena appena il riff viene accennato. Tutta la classe e la maestria si riversano sul finale, dove la cinematica hit degli ZZ Top viene seguita da "Tush" con un finale travolgente che sembra interminabile. Così si conclude uno tra i migliori concerti del festival: scaletta fatta di ottimi pezzi, l'esperienza di una band leggendaria messa al servizio della musica, senza inutili espedienti. Gli ZZ Top dimostrano una freschezza invidiabile, tanto che, se non fosse scritto dietro la batteria, difficilmente si crederebbe che alle spalle abbiano 5 decenni di attività da festeggiare. 


Quando le energie scarseggiano dopo un'intera giornata di festival non è ancora tempo di fermarsi, un altro gruppo infiamma il mainstage 2 prima di mandare a letto i metallari e le metallare dell'Hellfest. Gli Architects calcano il palco con decisione. I giovani ragazzi inglesi suonano un metal pesante e apocalittico. La voce ruggente di Sam Carter entra nelle viscere per la sua potenza evocativa, lo strazio delle chitarre in canzoni come "Modern Misery" è lo specchio di un'anima tormentata che si riflette nella musica. Doppia cassa e basso penetrano nelle ossa come scosse elettriche continue in "Downfall", che dal vivo gode dei volumi esagerati per esprimere tutta la sua rabbia. Pochi i momenti di distensione, soprattutto dovuti ad arpeggi leggeri, e subito dopo il drop della sezione ritmica riporta il pubblico nell'oscurità di uno stile lancinante che nasconde in realtà una spiccata sensibilità. "You are not alone" ci tiene a sottolineare il frontman parlando della depressione: "anche se credete di essere da soli non lo siete, parlate con chi vi sta accanto". Un messaggio che passa attraverso canzoni alienanti come "Gone With The Wind", il cui senso sta proprio nell'esorcizzare la solitudine, nel buttare fuori il veleno che coviamo nella nostra intimità più recondita. Dal punto di vista musicale la performance è puro godimento: velocità e tensione caratterizzano tutti i brani, con qualche sparuto momento di quiete. Concludono il set con "Doomsday", ennesimo pezzo estratto dall'ultimo lavoro in studio "Holy Hell", uscito lo scorso anno. Dopo la morte del tastierista e compositore Tom Searle, il prolifico quintetto di Brighton trova ancora l'ispirazione per creare nuova musica e l'energia per trasmetterla al pubblico. Una prova dal forte carico emotivo lascia gli spettatori sospesi, come quando si finisce l'ultima pagina di un libro che si ama.




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