Firenze Rocks 2019 - Day 4: The Cure & more
16/06/19 - Ippodromo del Visarno, Firenze


Articolo a cura di SpazioRock

Articolo a cura di Faceless

L’ultimo giorno del Firenze Rocks, da che ne abbiam memoria, porta sempre un alone di mestizia: anche quest'anno siamo arrivati alla fine e non ce ne siamo neanche accorti. Il Day 4 è incorniciato da un cielo nuvoloso e una leggera brezza, presto mutate in una canicola asfissiante, mitigata dai provvidenziali idranti della protezione civile che prontamente hanno cercato di rinfrescare il pubblico.

E' il giorno dei The Cure, attesissimi dai rocker più "maturi" e dei Sum 41, invocati da teste più giovani e più modernamente scompigliate. A loro si affiancano gli Editors, con un disco in uscita e tanto fascino British. In apertura Balthazar - portavoci dell'indie pop-rock belga- e Siberia, esponenti dell'undergroud nostrano. 

L'eterogeneità di line-up si riversa inevitabilmente in un'eterogeneità di pubblico, e di emozioni: dai piccolissimi rockers (davvero piccoli) a quelli decisamente più navigati in puro stile The Cure, due fazioni che scaldavano il cuore per la loro dedizione e fedeltà agli artisti. Se il primo gruppo hanno  trasversalmente apprezzato più volentiera un po’ tutta la giornata, i più ‘attempati’  a tratti storcevano il naso davanti l’energia ed il ritmo incalzante dei Sum 41, nella fremente attesa di Robert Smith e della sua chioma cotonata. 

Il Day 4 inizia con i Bangcock, giovanissima band dell'underground italiano reduci dalla vittoria allo scorso 'Sanremo Rock' per la migliore esibizione live, si presentano alle 14.30 sul palco con tute gialle tipo K-way, stoici ma anche simpatici e travolgenti. A ruota seguono i Siberia con le loro sonorità molto new wave anni Ottanta e tanta qualità buona presenza scenica.

I Balthazar sono i cugini dei Deus! Magari non è vero, ma la loro influenza fa breccia in ogni pezzo dei ragazzi belga. In ogni caso la qualità è alta e i pezzi che il quartetto propone sono veramente piacevoli da sentire, destando l'attenzione di teste sonnolenti colpite dall'insolazione. I Balthazar incuriosiscono e strappano la promessa di un ascolto attento postumo e l'intenzione di rivederli in altro contesto. 

Il palco è adesso per gli Editors. I soli 40 minuti di set lasciano un po' l'amaro in bocca: la band di Birmingham quando scatenata sul palcoscenisco è sempre una garanzia, ottimi nell'esecuzione dei brani - forse anche rispetto alle loro produzioni in studio- e nell'interpretazione dei pezzi, che coinvolge e tiene concentrata l'attenzione del pubblico. Questo la dice lunga sulla qualità proposta dei ragazzi inglesi. Tom Smith è un grande frontman e il resto della band lo segue piacevolmente ed egregiamente con molto affiatamento. Molto bella l’esecuzione di “The Racing Rats”, magica anche sotto il sole martellante. 

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Finalmente, attesissimi da tanti giovani, è il momento dei Sum 41. Band meno “in linea” con la giornata senza dubbio, ma che ha portato alla Visarno Arena una scossa e un'energia decisamente importante. Orde di giovani si sono scatenati e hanno saltato, cantando e pogando, con discreto disdegno da parte dei fan più integralisti dei Cure. Eh vabè, la musica va così.  I ragazzi hanno energia da vendere, sanno decisamente cosa suonare e come suonare, hanno grande presenza scenica grazie a Deryck Whibley, vero animale da palco, questo va sottolineato. Forse i canadesi avrebbero potuto limitare un po’ le cover dalla setlist,  ma alla fine, per un veterano come me, vedere gli occhi dei giovani così coinvolti e felici è stata una gran bella emozione. 

Cambio di scena, le canottiere dei ragazzi lasciano spazio alle maglie nere dei vecchi rocker: è tempo di Cure. 

Un set di due ore e mezza, importante ma comunque breve rispetto alla loro norma, la fa da padrone: una carica e un tiro che raramente si era sentito durante i loro concerti nei tanti anni di militanza. Un concerto da circoletto rosso, che non metterà tutti d’accordo per la setlist, ovviamente e come sempre, ma che non potrà essere discusso in quanto a performance. Il buon Robert Smith è lì, com i suoi capelli cotonati, il rossetto sbavato, l'ombretto nero casualmente spalmato sulle palpebre e i suoi tradizionali abiti scuri. Parte il viaggio nella carriera dei The Cure: si inizia con "Shake dog shake" e si naviga tra l'amore, l'incubo, la malinconia, l'inquietudine. Niente luci, scenografia minimale: la band inglese riempie da sola la scena in maniera totale, sprizzando emozioni ed empatia, tra cenni, sorrisi, sguardi. Smith prova più volte a ingaggiare una sorta di empatica chiacchierata di tanto in tanto, per poi auto eclissarsi dicendo “ecco perché di solito non parlo mai”. Ogni tentativo di proferir parola era un mpappinamento. Tipico delle persone che trasmettono emozioni. I Cure regalano momenti emozionanti e toccano le corde emotive sia dei nostalgici dei primi più gotici che quelli delle fasi successive con grande spazio come spesso accade a “Wish”. Il pubblico è ammaliato, persino i bimbi sulle spalle dei genitori non possono fare a meno di rimanere in silenzio a guardare ed ascoltare. Come la si rigiri, vedere questa band dal vivo è sempre un'emozione, sempre più trasversale. I Cure sono i Cure, come per il buon vino che migliora col passare degli anni. 


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