Eddie Vedder - European Tour 2017 - Firenze Rocks
24/06/17 - Ippodromo del Visarno, Firenze


Articolo a cura di Cristina Cannata

Prendi Eddie Vedder, dagli in mano una chitarra, a fianco una bottiglia di buon rosso, davanti a decine di migliaia di persone ed il gioco è fatto.

Un'atmosfera più unica che rara è quella che ci si è ritrovati a respirare ieri sera alla Visarno Arena di Firenze durante la seconda giornata del Firenze Rocks. Già, perchè qualcosa come 50.000 teste radunate, tutte piazzate in maniera ordinata e composta, a creare a tratti un silenzioso, a tratti un rumoroso, mare umano, non è una cosa che si vede tutti i giorni in Italia. Però qualche volta accade.

Vedder inaugura così la prima delle tre date in terra nostrana del suo esclusivo tour che lo vede in giro per l'Europa senza i suoi Pearl Jam, in un set pensato per i teatri all'insegna di una "intima essenzialità".

Nonostante possa sembrare un ossimoro rispetto al mare umano, anche ieri la parola d'ordine è stata appunto "intima essenzialità". Una scenografia suggestiva, familiare e quasi "confidenziale": uno sfondo con un cielo stellato, delle valigie, delle bobine, due chitarre, un ukulele, un mandolino e un organo. Uniche armi in possesso per conquistare, in circa due ore di concerto, tutta Firenze. Missione compiuta.

A Glen Hansard, che lo accompagna in questa leg europea del tour, spetta il compito di introdurre il "Master", così si diverte a chiamare Vedder. Il musicista irlandese stupisce la folla arrivando sul palco tranquillamente mezz'ora prima del suo show per provvedere personalmente a sistemare la sua attrezzatura e disporre tutto come deve essere, sotto lo sguardo curioso degli astanti. Hansard propone un'oretta di pura energia: appare sul palco insieme ad alcuni membri della sua band, abbandonando l'idea di una performance voce-chitarra: "Ho chiamato questi amici appena ho saputo che eravate così tanti", ammette. La voce dei The Frames gratta sulle sue chitarre - sulle quali sono particolarmente visibili i segni della sua grandiosa professionalità e vivacità -, salta, batte il tempo, suda, parla. Ogni canzone è introdotta da un tentativo dialettico con il pubblico: "Revelate", "Say It To Me Now" o "Way Back In The Way Back When", quest'ultima dedicata a chi è costretto a lasciare la terra natìa alla ricerca di qualcosa di meglio. Ringraziando cordialmente, saluta la folla, chiudendo con "Her Mercy", tra gli applausi di 100.000 mani.

eddievedderfirezerocksposter17Dopo un'ora di attesa imposta dai festeggiamenti del Santo patrono di Firenze, San Giovanni, e ai tradizionali fuochi d'artificio, tra le urla crescenti, arriva finalmente Vedder. Il leader dei Pearl Jam, qui in veste solista, prende posto sullo sgabello e, con in mano la sua Fender bianca, alimenta ad un livello esagerato la curiosità della folla che, in virtù della sua tendenza a non mantenere mai una scaletta prefissata, non vedeva l'ora di sapere come avrebbe aperto lo show. Le dita di Eddie iniziano a pizzicare le corde a mo' di "Elderly Woman Behind the Counter in a Small Town". Mistero svelato.

"Questo è il mio primo show da solista in Italia" - ha esordito Vedder in italiano, tirando fuori da una delle valigie un foglietto scritto a mano, con tanto di pronuncia accuratamente appuntata - "e anche il più grande che ho mai fatto. Questo succede solo in Italia", continua con una mano sulla fronte nel vano tentativo di scorgere la fine della folla oceanica. "Grazie per essere qui questa sera", conclude in maniera gentile, educata e visibilmente emozionata.

Le proposte iniziali sono firmate Pearl Jam: "Wishlist" e "Immortality" smuovono le prime ugole che si fanno progressivamente meno timide e preoccupate all'idea di inquinare la voce calda, e perfettamente impostata, di Vedder. Come da copione, immancabili sono le cover in scaletta, da Cat Stevens a Neil Young, passando per i Pink Floyd e John Lennon. Con "Trouble" e "Brain Damage", le ugole precedentemente citate si sentono autorizzate a dar sfogo alle proprie capacità vocali. Eddie parla tanto, tantissimo. Sorride, ancor di più. Prende in mano la sua bottiglia di buon rosso e, prima di concedendosi un sorso, ammette: "Non sapevo fosse la festa di San Giovanni... SG, sono anche le iniziali di Sound Garden".

 

Vedder cerca costantemente un contatto forte con il suo pubblico, nonostante la maestosa numerosità di quest'ultimo. Lo cerca in un modo personale, particolare e lo ottiene, ovviamente. E non un contatto semplice bensì un contatto "intimo". Condivide le sue sensazioni, le sue emozioni, i suoi ricordi felici legati alla nostra terra. Su "I Am Mine", ad esempio, racconta di quando a Milano, tanti anni fa ormai, conobbe sua moglie dalla quale ha avuto due bambine. "Li rivedrò domani", confida con gli occhi sorridenti ed innamorati. L'emozione è palpabile nell'aria e i megaschermi si fanno carico di renderlo noto: alcuni visi ridono, altri piangono. Gli antipodi di un insieme in cui nel mezzo si scontrano miliardi di onde agitate di sensazioni. Sensazioni che vengono tradotte, dal corpo, con un religioso silenzio quando Eddie parla e invece diventano un impetuoso rumore quando le dita, sui tasti della chitarra, introducono un pezzo. Ondate d'energia si hanno su "Can't Keep", in cui Vedder violenta le corde del suo ukulele trasmettendo vibrazioni purissime. L'apice emozionale lo si raggiunge con "Black", cantata all'unanimità da tutti i presenti. Vedder socchiude spesso gli occhi e ogni nota di quella canzone riflette il peso del suo testo, fino ad arrivare ad un finale in cui il riferimento all'amico scomparso Chris Cornell è lampante: "Come back... Come back... Come back...".

 

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Le due ore abbondanti di show trascorrono velocemente, troppo velocemente, tra brani di "Into The Wild", "Better Man" e "Last Kiss", una versione all'organo di "Comfortably Numb" - in cui Eddie si fa reo di dimenticare una parte del testo -, e una coinvolgente "Imagine" di John Lennon, in occasione della quale chiede ai presenti di diventare parte della scenografia illuminando il pit con i propri smartphone. Ciliegina sulla torta, proprio mentre Eddie cantava le ultime "and the world will live as one" una gigantesca stella cadente ha illuminato il cielo, insediando nella testa dei sognatori l'idea che qualcuno, da lassù, l'avessa mandata di proposito. Chissà. 

 

Sul finale viene raggiunto dall'amico Glen Hansard che lo accompagnerà con la sua chitarra distrutta fino alla fine del concerto. Grazie al suo sostegno, Eddie si sente autorizzato a lasciare il proprio posto per avvicinarsi all'inizio del palco, salire sulle casse, scendere giù per incontrare il pubblico e poi lanciarsi sulla folla continuando a cantare. I minuti a disposizione volgono al termine tra un'immancabile "Society" e una ancor più immancabile "Rockin' In The Free World", che fa ballare l'intera Arena, bimbi sulle spalle dei genitori compresi.


La chiusura viene affidata a "Hard Sun", in cui Eddie gioca con la chitarra, corre, salta. Evidentemente emozionato, saluta il mare umano: scruta per cercare lo sguardo di tutti, si avvicina, si inchina, distribuisce baci volanti, riconoscente dell'amore ricevuto.

Prendi Eddie Vedder, dagli in mano una chitarra, a fianco una bottiglia di buon rosso, davanti a decine di migliaia di persone: chiamasi spettacolo.

 

Setlist



Elderly Woman Behind the Counter in a Small Town (Pearl Jam)
Wishlist (Pearl Jam)
Immortality (Pearl Jam)
Trouble (Cat Stevens)
Brain Damage (Pink Floyd)
Sometimes (Pearl Jam)
I Am Mine (Pearl Jam)
Can’t Keep (Pearl Jam)
Sleeping by Myself
Setting Forth
Guaranteed
Rise
The Needle and the Damage Done (Neil Young)
Unthought Known (Pearl Jam)
Black (Pearl Jam)
Porch (Pearl Jam)
Comfortably Numb (Pink Floyd)

Imagine (John Lennon)
Better Man (Pearl Jam)
Last Kiss (Wayne Cochran)
Untitled / MFC (Pearl Jam)
Falling Slowly (The Swell Season)
Song of Good Hope (Glen Hansard)
Society (Jerry Hannan)
Smile (Pearl Jam)
Rockin’ in the Free World (Neil Young)

Encore


Hard Sun (Indio)

 

 

 

 




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