Ma andiamo con ordine: la serata inizia molto presto con due band di supporto che si esibiscono quando ancora il pubblico scarseggia.
Scaldano poi le assi dello Slaughter Club gli Underskin, altra formazione svizzera con la voce femminile di Andrina Travers, che ha un passato da cantante pop e abiti scintillanti. Tutt'altra la veste con la quale si propone in questo contesto, coperta di tatuaggi e con una grinta fuori dal comune. Il debutto "Collective confusion" è stato ampiamente acclamato come uno dei debut album migliori degli ultimi anni. Presente anche nel cast di "The Voice of Germany" 2006 con performance come "The Best of You" dei Foo Fighters e già presente sui palchi svizzeri dalla tenera età di 11 anni con un singolo di successo a 15. La band suona un genere che forse si discosta un po' troppo da quello degli headliners per entusiasmare la platea di nostalgici ma viene comunque accolta bene dai presenti.
Ed eccoci al momento che tutti stanno aspettando: la serata prende fuoco fin dalle prime note della theme song de Il Padrino, la "sigla" iniziale che caratterizza la band di Leo Leoni e che vede tra il suo pubblico numerose facce note del panorama italiano e internazionale: per citarne un paio, si godono lo show dalla balconata niente meno che Jorn Lande e Alessandro del Vecchio per la gioia dei fans. Lo spettacolo comincia con "Higher", e dal primo respiro Ronnie Romero prende a sputare raffiche scintillanti di fiamme vocali che farebbero retrocedere una carica di gnu. Il pubblico rimane senza fiato, e la magia ha inizio.
Ronnie potrebbe essere uno di quegli artisti che fatica a brillare giù dal palco, ma nessuno sfugge al fascino del suo talento esagerato una volta che riempie la scena con tutta la potenza della sua ugola aliena. Inevitabile fare paragoni, eppure il tutto viene proposto con un tale rispetto e una tale naturalezza che perfino le lingue più biforcute devono rassegnarsi a lasciarsi stregare. Si prosegue con "Standing in The Light" e "Dowtown", senza la minima pausa o rallentamento in quella che è un'esibizione di livello stratosferico. Alla batteria, in sostituzione del neo papà Hena Habegger che ha lasciato il tour in anticipo per assolvere ai suoi doveri familiari, un' inaspettata e piacevole sorpresa: un ragazzo italiano, Alex Motta, che picchia le pelli come un fabbro affamato e che Romero non manca di mettere in luce apostrofandolo Alex "Mottafucker" e suscitando la simpatia del pubblico. Le chitarre di Leoni e Igor Gianola riempiono la volta dello Slaughter con una tale bellezza espressiva e una tale botta sonora che pare ci siano almeno 4 chitarristi sul palco. Si prosegue con piccoli intermezzi comici e gag tra Leo che incita il pubblico in Italiano e Ronnie che finge di capire la nostra lingua ridendo e dandogli corda, mentre tra un siparietto e l'altro la musica si espande e il pubblico si entusiasma e si emoziona nel ripercorrere quei primi tre album dei Gotthard che per molti hanno significato tanto.
Si passa per "Fist in your Face" - che ci arriva davvero come un pugno in faccia" - e "Walk On Water", unico inedito presente sul primo disco della band che evoca Bon Joviane atmosfere. Ed eccoci ad uno dei momenti più belli della serata: l'esecuzione di "Fire Dance", che Steve Lee cantava con una tale sensualità da far venire i brividi. Leo si fa prednere dall'entusiasmo e decide di scendere (con tanto di birra) insieme a Igor tra il pubblico, per una "solo battle" che fa impazzire i fans. Ronnie li segue a stretto giro insinuandosi tra i presenti quasi inosservato, almeno finchè non ricomincia a cantare insieme a tutti noi, facendo impallidire qualsiasi amplificatore coi suoi volumi naturali. Le gag continuano tra la goduria del pubblico che passa più tempo a ridere di gusto che a cantare. Ma torniamo seri: un solo accenno di "One Life One Soul" con tanto di dedica a Steve Lee basta per far commuovere tutti, per sfociare in un'altra ballad intoccabile e strappalascrime come "All I Care for", facendo vedere anche quel lato un pò più romantico e meno aggressivo di Romero che convince in qualsiasi veste. Si prosegue sulla scia delle emozioni forti con "Let it Be", e per qualche minuto Ronnie non manca di coinvolgerci con una serie di vocalizzi impossibili che fatichiamo a replicare nonostante la serie di divertenti esercizi di riscaldamento vocale che ci propina. "In The Name","Tell No lies", "Make my Day" scorrono veloci prima di scatenare il talkbox italosvizzero di Leoni che accenna "are you ready for..." inevitabile la risposta del pubblico che grida "Mountain Mama". E' quindi il momento del solo di Igor Gianola, già chitarrista di U.D.O e Jorn Lande, l'uomo che nessuno vorrebbe avere seduto davanti al cinema, che propone tutta la sua cattiveria espressiva e la sua pesantezza metallica poderosa sollevando complimenti a non finire. Avanti tutta con "She Goes Down", la scarica fotonica di "Ride On" "Here Comes The Heat" e la chiusura del concerto. Il pubblico ovviamente non desiste ed ecco ricomparire la band sul palco. Ronnie scherza sul fatto che abbiano già eseguito tutti i pezzi che potevano fare, e allora, ci regalano un paio di cover dei Led Zeppelin, "Whole Lotta Love" e "Immigrant Song". Ottima la resa, la voce di Romero sembra fatta apposta, peccato non aver potuto sentire altro dei Gotthard per ragioni politicamente corrette.