Alice Cooper - Ol'Black Eyes Is Back Tour 2019
10/09/19 - Pala Alpitour, Torino


Articolo a cura di Stefano Torretta

Passano gli anni, cambiano le mode ma Alice Cooper continua imperterrito a deliziare il mondo con il suo shock rock, perfetto connubio di musica e baracconesco horror da b-movie. Con una carriera ormai lunga ben 50 anni, non vi è nemmeno bisogno di un nuovo album in uscita per aver voglia di tornare sulla strada e di girare gli Stati Uniti, l’Europa e l’Oceania con un tour: a 71 anni d’età l’energia per stare un’ora e mezza sul palco può solo derivare dal desiderio di far divertire il pubblico con canzoni che ormai sono entrate nella storia del rock. Per l’occasione, il cantante di Detroit ha voluto rispolverare vecchi brani che da anni non venivano più proposti in sede live, un ulteriore motivo, se ce ne fosse proprio bisogno, per non mancare a questo Ol’ Black Eyes Is Back Tour, nello specifico all’unica tappa su suolo italico, quella al Pala Alpitour di Torino.


La grigia giornata di Torino non riesce di certo a scoraggiare i fan: l’inizio dell’esibizione dei Black Stone Cherry vede già una buona quantità di spettatori sia nell’area del parterre che sulle tribune numerate. La band del Kentucky non perde tempo con chiacchiere inutili ma sfrutta alla perfezione l’ora scarsa a propria disposizione: in tour dalla scorsa primavera per promuovere l’ultimo album in studio, “Family Tree”, preferiscono comunque proporre una scaletta che spazi lungo la loro ventennale carriera, dagli esordi di “Black Stone Cherry” (“Lonely Train”), passando per gli ottimi “Folklore And Superstition” (“Blind Man”), “Between The Devil And The Deep Blue Sea” (“In My Blood”, “Blame It On The Boom Boom” e “White Trash Millionaire”), “Magic Mountain” (“Me And Mary Jane”) e “Kentucky” (“Cheaper To Drink Alone”) relegando al più recente parto creativo del combo solo l’apertura e la conclusione della scaletta (“Burning” e “Family Tree”). Il combo statunitense non è certo alle prime armi e la solidità sul palco lo dimostra ampiamente. Al di là di piccoli problemi di settaggio della chitarra di Chris Robertson a inizio esibizione, risolti molto velocemente nel giro di un minuto, il set scorre via veloce, energico e, soprattutto, molto coinvolgente. Il pubblico viene immediatamente catturato dalla vitalità della band, lasciandosi trascinare con molto piacere da Robertson ogni volta ci sia da cantare qualche strofa di un brano. L’unione di southern rock, metal alternativo e post grudge scalda facilmente il Pala Alpitour, merito, oltre che di brani accattivanti, anche di musicisti di ottima caratura, soprattutto, ma non solo, per quanto riguarda il reparto ritmico, con una batteria terremotante sempre in primo piano. Trovare un momento dell’esibizione che si segnali più di altri è decisamente difficile, visto l’alto livello di tutto il set, ma sicuramente “Cheaper To Drink Alone” riesce a catturare facilmente l’attenzione anche dello spettatore casuale, vuoi per l’inserimento di “Purple Haze” di Jimi Hendrix, vuoi per lo spazio lasciato ai singoli strumenti che mettono in piedi, all’interno della sezione centrale del brano, una jam session dove tastiere e percussioni si sbizzarriscono e rubano la scena. Band promossa a pieni voti e pubblico caricato a dovere.

 



Setlist

Burning
Me And Mary Jane
Blind Man
In My Blood
Blame It On The Boom Boom
White Trash Millionaire
Lonely Train
Cheaper To Drink Alone
Family Tree


Il cambio di palco non è dei più veloci, ma vista la scenografia impiegata da Alice Cooper ne vale la pena: i muri di un castello, con torre, camminamento e una scalinata, riempiono lo stage e catapultano immediatamente il pubblico nel bizzarro e fantastico mondo da incubo pensato dal pioniere dello shock rock. Le due clip audio di introduzione servono egregiamente a far ambientare il pubblico in questa particolare realtà dove tutto può succedere. A “Feed My Frankenstein”, roboante e coinvolgente, viene delegato il compito di dare fuoco alle polveri e di scatenare la bolgia infernale del Pala Alpitour. Il magnetismo che la presenza sul palco di Alice trasmette è sempre immenso. I 50 anni trascorsi tra musica ed eccessi si possono notare in una mobilità più contenuta, nei tratti del volto ormai segnati pesantemente, una maschera nella maschera, sempre più vicino al modello di ispirazione di Bette Davis in Che fine ha fatto Baby Jane, ma bastano pochi istanti dalla sua comparsa sul palco per rimanere completamente catturati dalla sua figura. Nemmeno dei problemi al corretto livello di volume del suo microfono, per fortuna sistemati in poche decine di secondi, riescono a rovinare la partenza dello spettacolo. Cosa sarebbe un’esibizione dal vivo di Alice Cooper senza gli elementi teatrali? Sarebbe comunque magnifica, vista l’alta qualità delle sue canzoni, ma perderebbe quella parte camp, quel senso di meraviglia che va a risvegliare la parte più infantile dentro ognuno dei suoi spettatori. Non può mancare quindi, in una canzone che parla della creatura di Frankenstein, un pupazzo gigante con catene che scorrazza liberamente per il palco. Senza nulla togliere alla successiva “No More Mr. Nice Guy”, sempre un capolavoro ma ampiamente ascoltata in molteplici occasioni, è la riproposizione di brani come “Bed Of Nails” – assente dai primi anni Novanta, eccettuate alcune saltuarie apparizioni nei primi anni Duemila – o “Raped And Freezin'” – riproposta nel 2007 ma comunque scomparsa quasi totalmente dai radar dopo il suo utilizzo nel 1973 per il tour a promozione dell’album “Billion Dollar Babies” – a rendere questo tour un qualcosa di curioso, che riesce a solleticare anche la voglia di esserci del fan che ormai ha visto dal vivo l’artista in tante occasione. Entrambi i brani hanno retto bene allo scorrere del tempo, e la parte finale di “Raped And Freezin'”, con quel ritmo da fiesta latina ed un Cooper in versione matador, è una stramberia perfetta per il castello degli incubi del vecchio Alice. In mezzo a tanta storia, anche una aggiunta recente come “Fallen In Love” dall’ultimo “Paranormal” non stona affatto e coinvolge a dovere il pubblico.

 

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Dopo la veloce, ma gustosa, parentesi “moderna”, il rituffarsi nel lontano passato anni Settanta non può che fare bene: “Muscle Of Love”, “I'm Eighteen”, “Billion Dollar Babies”, tre capolavori immancabili, tre bordate di rock supportate più che egregiamente da una band che non si risparmia in riff affilati. Dopo una “Poison” sempre coinvolgente e un assolo della brava e bella Nita Strauss, è con “Roses On White Lace” che la vena più teatrale di Alice viene a galla: perfetta unione di narrazione in musica e per immagini, il miglior modo per rendere evidente come i siparietti sul palco non siano fini a se stessi ma perfettamente integrati nel mondo tratteggiato dal testo del brano. E poi, vedere Calico Cooper – figlia di tanto padre – nei panni della sposa è una più che piacevole aggiunta. L’utilizzo di “Devil's Food” e di “Black Widow Jam” con solo la band sul palco sembra un po’ fine a se stessa, così come l’assolo di batteria all’interno del secondo brano. Per fortuna questo momento interlocutorio ha come risultato la messa in scena del dittico di canzoni “Steven” / “Dead Babies”, distanti anagraficamente cinque anni, ma qui rese un organismo unitario dalla brillante vena teatrale di Alice Cooper: l’immancabile camicia di forza, bambini giganti, infermiere – la sempre deliziosa Calico Cooper - con passeggini che non stonerebbero all’interno della Famiglia Addams, mannaie e la tanto attesa ghigliottina… tutto l’immaginario di Alice Cooper viene sintetizzato in questa accoppiata. Un veloce ottovolante di musica ed emozioni che lascia lo spettatore senza fiato. È più che naturale che, dopo un tale dispendio di energie e allestimento teatrale, la band si ritagli un ulteriore momento di transizione con una versione accorciata di “I Love The Dead”. La conclusione della scaletta viene lasciata a “Escape” e “Teenage Frankenstein”, dove un Alice sempre più stranito nella prima e in versione creatura di Frankenstein nella seconda non risparmia energie e voce per accontentare il suo pubblico. Vi è ancora spazio, naturalmente, per un bis composto da due classici: “Under My Wheels”, con il cantante che veste la maglietta dell’Italia - naturalmente il numero sul retro non può che essere un 18! – e “School's Out”, inno di liberazione dalla costrizione dell’anno scolastico – ironico cantato nella settimana del ritorno a scuola per molti studenti italiani –, punteggiato dal lancio di lustrini e stelle filanti, da palloni da spiaggia in giro per il parterre e dall’immancabile inserto di qualche strofa proveniente “Another Brick In The Wall”. Divertimento su divertimento in una stratificazione che chiude alla perfezione un’esibizione sempre coinvolgente, divertente e perfetta di un artista ormai entrato nella leggenda. In tutta onestà non è facile, dopo tutti questi decenni, riuscire a rendere sempre fresca e coinvolgente la commistione di musica e teatralità horror alla base della proposta musicale di Alice Cooper. Ogni uscita sul palco del buon vecchio Alice è come un giro nel castello dell’orrore al Luna Park: sai già come andrà a finire ma non riesci a rinunciarci per nulla al mondo!


Setlist

Intro) Years Ago
Intro) Nightmare Castle

Feed My Frankenstein
No More Mr. Nice Guy
Bed Of Nails
Raped And Freezin'
Fallen In Love
Muscle Of Love
I'm Eighteen
Billion Dollar Babies
Poison
Guitar Solo (Nita Strauss)
Roses On White Lace
My Stars
Devil's Food (Band Only Jam)
Black Widow Jam
Steven
Dead Babies
I Love The Dead (Band Vocals Only)
Escape
Teenage Frankenstein

Encore
Under My Wheels
School's Out (con inserti da Another Brick In The Wall)




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