The Hundred In The Hands - Tour 2011
01/03/11 - Magnolia, Milano


Articolo a cura di Alessandra Leoni
La serata al Magnolia, nei pressi dell'Idroscalo, si preannuncia freddissima, ma per fortuna della buona musica è pronta a scaldare le membra dei partecipanti al concerto degli italiani Green Like July e degli americani, provenienti da New York, The Hundred In The Hands.


Il locale è decisamente piccolo e sembra fin troppo angusto: fa tenerezza vedere il palco caotico, in quanto stipato di strumenti appartenenti ai membri del gruppo di supporto. Non manca nulla sul palco, se non i componenti del gruppo che si aggirano per il locale, ancora piuttosto vuoto. Molto probabilmente, i partecipanti sono ancora impegnati a vedere la partita di calcio proposta sullo schermo, o a giocare a calcetto. Ma ecco che le luci soffuse si accendono di colori forti e la sfera stroboscopica smette di ruotare e di brillare: che lo spettacolo abbia inizio!


Il quartetto italiano stride senz'altro con il duo che seguirà, perché la proposta è senz'altro rilassante, adatta ad un piccolo circolo come quello. Luci soffuse e colorate, musica folk rock addolcita dalla voce cullante ed eterea del cantante Andrea Poggio, coadiuvato dal bassista Nicola Crivelli nelle parti vocali. Pare di essere trasportati nelle praterie americane, specie nella bellissima e suggestiva "Jackson", che mi ha ricordato sia Johnny Cash, Bob Dylan, persino - od oserei dire soprattutto - i Bright Eyes. Per qualche brano mi è sembrato di non essere più nel freddo che attanagliava il Magnolia - ragion per cui la sottoscritta ha cercato calore e conforto nei caloriferi alle pareti - quanto piuttosto nei paesini accoglienti del centro degli U.S.A, o perché no, in Alabama o a New Orleans, grazie anche alla splendida chitarra acustica che arricchiva le melodie dei brani. Ottimo anche il tocco retrò del tastierista che sceglie belle armonie blues e folk e ci mette anche un bell'Hammond a rendere ancora più suggestiva l'atmosfera. Il pubblico sembra apprezzare la semplicità e l'immediatezza delle canzoni proposte e quaranta minuti circa scorrono via puliti e veloci, proponendo brani dal nuovo album "Four Legged Fortune", delizioso con quell'artwork che riproduce un quadretto ricamato. Questi ragazzi sembrano decisamente fermi agli anni '70 e soprattutto, non sembrano affatto italiani, a giudicare dal genere che suonano. Risulta quindi uno show pulito e senza pecche particolari - a parte qualche fischio qua e là dei microfoni.


L'attesa si fa più impaziente per la band principale della serata, ovvero gli statunitensi The Hundred In The Hands. Via tutti gli strumenti degli artisti precedenti ed il palco sembra riacquistare volume ed ordine. Rimangono solo dei piccoli programmatori sul palco, due chitarre ed un basso. Il clima inizia a riscaldarsi e la gente finalmente inizia ad affluire ed ad accalcarsi sotto il palco. Si respira più aria da discoteca, fatta da ritmi dettati da mixer e computer che sparano effetti sonori più freddi ed asettici, a tutto volume; sembra di essere pronti a ballare ed in effetti l'impressione della sottoscritta non è del tutto lontana dal vero. La cantante del duo, Eleanore Everdell, arriva sul palco, vestita di abiti succinti - e date le gambe ed il fisico non si può darle torto - e gentilmente e con garbo si posiziona a destra, mentre il fido chitarrista, bassista, dj Jason Friedman impugna la chitarra ed inizia a tastare le pedaliere. E si parte con il botto con un fragoroso ritmo forsennato ed il pubblico risponde ballando ed agitandosi. La chitarra assume mille effetti e mille colori, grazie alla velocità ed alla cura degli effetti da parte di Jason. Eleanore, dalle movenze sensuali, ha una voce bella e calda, fedele al cd ed è semplicemente pulita e molto accurata in quello che fa. Ed anche lei cura gli effetti, muovendo rapida le mani sulla piccola consolle. Si prospetta una bella performance all'insegna dell'electro rock, con anche forsennati assoli di chitarra - e chissà perché, mi hanno fatto pensare all'hard rock, al rock puro con quella Fender color panna, in mezzo a tutte quelle campionature - e ritmi serrati e decisi. Certo, il paragone con i Franz Ferdinand non è affatto fuori luogo e sovente ho pensato alla band di Glasgow, che sicuramente è stata una bella fonte di ispirazione per i due giovani artisti americani. Non mancano tocchi di alternative rock ed un pizzico di psichedelia. Insomma, la voglia di ballare e di far divertire gli accorsi era tanta e si vedeva nell'impegno profuso dai due ragazzi sul palco. L'elettronica in giuste dosi non fa male e se amalgamata con dei bei brani rockeggianti è in grado di portare anche una bella ventata di freschezza.


Per esser stato un piccolo concerto al Magnolia, con dei gruppi decisamente non noti ai più, la serata è stata più che buona, divertente e varia e sicuramente questo locale alle porte di Milano non ha mai mancato di offrire proposte interessanti, con artisti che di certo non riempiono gli stadi, ma che sanno come intrattenere gli assetati di buona musica.




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