Wire - Tour 2011
22/02/11 - Bloom, Mezzago


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Decisamente un appuntamento da non perdere per tutti gli amanti delle sonorità anni ottanta, quel post punk che sfocia nella new wave avvolta da gelide vibrazioni sonore, che tanti cloni negli anni novanta hanno portato a casa come proprie, riuscendo a raggiungere successo e fama, quello che i precursori non sono riusciti a scorgere nemmeno da lontano. Dicevamo, un appuntamento da non perdere, il ritorno dei Wire allo storico Bloom di Mezzago. La gente, con un'età media che si aggira sui quaranta, quasi non si accorge del gruppo spalla, i Weekend, una versione rivisitata dei primi Joy Division, che si lascia ricordare quasi esclusivamente per la somiglianza impressionante del cantante con l'icona Ian Curtis.

 

Tutte le attese sono per i vecchi britannici, rinati per tre volte, negli anni settanta con il punk, negli ottanta con la new wave e negli anni zero con un post punk nervoso che non disdegna, come per l'ultimo disco "Red Barked Trees", l'indie pop. Quando Colin Newman e soci calcano il glorioso palco del Bloom, il piccolo locale è già saturo, temperatura da inferi e clima d'attesa ai massimi livelli, culto e devozione. "Smash" e "Advantage In Height" danno inizio alle danze, sembra di viaggiare indietro nel tempo, ci si chiede quanto siano state sottovalutate le capacità del combo, quanto siano stati influenti per le correnti rock moderne e quanto siano ancora lontani anni luce dalle miriadi di band post punk defecate dal mercato discografico degli ultimi lustri. Sono convinto che, se fossero dei ragazzini dalle faccette pulite a suonare i pezzi dei Wire, riempirebbero le copertine di tutte le riviste musicali più trendy del globo. Sguardi severi e un po' annoiati, calvizie non timide, freddezza scenica ma classe da vendere, questi sono i veri Wire. La gente ondeggia ballando ininterrottamente, indipendentemente sia nell'aria un assalto punk tratto da "Pink Flag", che un ritmo sincopato alla "Spent" tratto dall'album del nuovo avvento "Send" datato 2003.

 

Quindi nuovo e vecchio poco importa perché i classici si amalgamano perfettamente con i pezzi del recentissimo "Red Barked Trees", la canzone omonima psichedelicamente ammalia, ipnotizza. Il sipario cala dopo un'oretta e qualche spicciolo, cinque bis con le conclusive "Adapt" e la mitica "Pink Flag". Dopo rimangono solo i cocci rotti, i visi dei presenti stupefatti da come si siano preservati, nonostante i decenni passati, quegli storici ometti di mezza età. Erosi dal tempo ma eterni nell'arte di creare deturpanti scenari musicali che, nonostante non li abbiano mai resi ebri di fama, li elevano di diritto tra gli eterni paladini del rock indipendente degli ultimi trent'anni.




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