Gods Of Metal 2010
24/06/10 - Parco della Certosa, Collegno (TO)


Articolo a cura di Marco Ferrari
Il Gods Of Metal è diventato, nel bene e nel male, il concerto-evento del nostro paese, portando con sé, nel corso delle varie edizioni, aspettative, elogi e qualche immancabile delusione. L'ultima di queste, a dir del vero, sembrava nascere sotto i peggiori auspici, vuoi per la presenza di un bill apparentemente privo di grandi nomi, vuoi per la scelta di una nuova location, fatto sta che in molti l'avevano preventivamente bollata come un'edizione minore. Come da migliore tradizione italiana, i pregiudizi si sono rivelati azzardati ed assolutamente fuorvianti rispetto a quanto abbiamo potuto constatare con i nostri stessi occhi durante le tre giornate della kermesse torinese.

Ovviamente, per un'occasione del genere, la redazione di Spaziorock si è mossa in massa per far rivivere ai propri lettori, attraverso le parole e le immagini, i momenti più belli della manifestazione. Come sempre, prima di trarre le dovute conclusioni vi lascio ai report giornalieri dei redattori che hanno condiviso con me questa avventura.

Day One

Report a cura di Marco Somma


Che dire? Ancora scottati dalla tragica esperienza del Sonisphere di Zurigo siamo portati a vedere tutto in una maniera più rosea del previsto. Forse la quantità di chilometri da affrontare più vivibile e scorrevole, forse il semplice fatto di restare a casa propria… Sta di fatto che all’arrivo in quel del parco della certosa di Collegno, tutto ci sembra straordinariamente benaugurante. Appare evidente fin dalla prima occhiata data ai parcheggi la mancanza di un'organizzazione in pompa magna tipica degli anni passati, qui tutto appare in scala ridotta. Ridotte sono la grandezza dei nomi in campo e la quantità di pubblico prevista ma anche la calca, il letamaio e la tendenza a strafare di tanti festival italiani. Il Gods of metal 2010 mette leggermente da parte la ricerca ostinata dello stile e punta direttamente alla sostanza: il risultato appare impeccabile!

L’accoglienza è delle migliori. Due palchi leggermente più piccoli rispetto a quelli dei tempi andati (ma neanche più di tanto), suoni impeccabili, puntualità dei concerti, area ristorazione perfettamente organizzata e posta a separare gli stand del merchandising e l’area “relax” da quella live. La prima giornata del Gods è totalmente dedicata al metalcore d’eccezione. Lo spettatore abituato al susseguirsi di vecchie glorie sul palco (marchio di fabbrica delle precedenti edizioni) avrà quasi certamente storto il naso di fronte alla scaletta di quest’edizione. Ebbene, non era questo il caso per mostrarsi supponenti. Messi da parte i gusti personali, le band (senza contare le tre formazioni che si sono esibite sul secondo palco) dimostrano di saper fare dannatamente bene il proprio lavoro, a partire dai 36 Crazyfists fino ad arrivare ai Killswitch Engage.

Ovviamente, visti i nomi coinvolti, la giornata è stata caratterizzata da un susseguirsi di esibizioni che hanno fatto della potenza il proprio marchio di fabbrica. Quasi a voler dimostrare la propria superiorità in uno scontro all’ultimo sangue, le prime cinque band della giornata  hanno investito gli astanti con scariche di pura adrenalina. L’aggressività del metalcore dei 36 Crazyfists apre le ostilità che continuano senza sosta con il post thrash degli americani Unearth fino alla recente rivelazione Job For A Cowboy. Sulla scia di una giornata molto compatta da un punto di vista stilistico, non potevano mancare i veterani Atreyu che di fatto chiudono il primo “round” sul main stage.

La ripresa delle ostilità vede scendere in campo gli As I Lay Dying che confermano tutte le buone impressioni lasciate la settimana precedente al Sonisphere. Arriva così il momento tanto atteso dei Fear Factory ed i maestri dell’industrial metal non perdono occasione per riproporre i loro brani migliori in una veste decisamente aggressiva. L'esibizione dei DevilDriver è stata, come da tradizione, adrenalinica e capace di mettere al tappeto buona parte della concorrenza. Il primo giro si conclude con i Killswitch Engage e possiamo solo compiacerci nel constatare che, se la giornata ha optato per una scaletta di questo tipo, è proprio perché queste nuove leve esistono e non sono certo meno agguerrite di chi le ha precedute. Una particolare lode spetta ai Fear Factory ed ai DevilDriver, che riescono ad infiammare un pubblico poco numeroso, bisogna ammetterlo, ma fortunatamente dotato di una gran voglia di divertirsi!

Day Two

Report a cura di Davide Panzeri e Marco Ferrari


Non è mai facile per un gruppo fare da apripista della giornata, ancor di più se sotto il palco le presenze si contano sulle dita di una mano. Poche centinaia di persone sfidano il sole di mezzogiorno per tributare il giusto supporto a questa band. Gli Ex Deo, capitanati dall’italo-canadese Maurizio Iacono, fanno il loro ingresso on stage bardati di armature, polsini, bracciali e spalliere in pelle d’ovvia ispirazione romana. l loro epic death metal, se così si può definire, viene accolto anche dagli ascoltatori occasionali in maniera più che soddisfacente. Promossi a pieni voti, i Nostri segnano l'ottimo inizio di questa seconda giornata. Che dire dei Sadist? In giro per l’Italia da ormai una ventina d’anni, rodati dai numerosissimi concerti che negli ultimi anni stanno tenendo, sono senza dubbio una garanzia di alta qualità made in Italy. La grinta è quella di sempre, la potenza che riescono a sprigionare fa rimanere di stucco ogni santissima volta; i brani del passato si alternano a quelli nuovi fino a giungere alla sempiterna  “Sometimes They Come Back”. Trevor è un frontman con le palle, molti colleghi (italiani e non) hanno di che imparare da lui: il Nostro trascina, incita e scalda la folla in maniera meravigliosa. Gli Orphaned Land, per chi ancora non li conoscesse, sono una band proveniente da un paese lontano, ma nemmeno troppo, come quello di Israele. Dediti a un metal di difficile catalogazione (c’è chi li definisce prog, chi doom, chi death e via dicendo) incentrano i propri brani sulla ricerca raffinata di una melodia medioorientale contrapposta e fusa a passaggi assolutamente metal. Detto questo, gli Orphaned Land, sono una band che non va assolutamente vista alle due di pomeriggio sotto il sole cocente. Seppure autori di una prova formidabile, con brani estratti dal fantastico “Mabool” al nuovo “The Never Ending Way of  OrwarriOR”, l’esibizione diurna non rende giustizia a quello che effettivamente i Nostri potrebbero offrire.

Dalla Polonia, ed è proprio il caso di dirlo, giungono con furore i Behemoth. Facepainting d’ordinanza, scenografia curata e minimale (le tre aste che sostengono i microfoni sono in ferro e al loro interno sono scolpite frasi in latino) e vestiti in goticheggianti in pelle costituiscono il quartetto polacco, che si presentano per la prima volta, se non vado errato, sul palco del Gods of Metal. Anche per loro vale lo stesso concetto espresso per gli Orphaned Land: andrebbero gustati col favore delle tenebre, per immergersi maggiormente nella loro musica. Sicuramente i quattro massicci ragazzi polacchi non si fanno spaventare dal sole e dalla luce e propongono uno show roccioso, violento e brutale. Nergal non grida nel microfono, ruggisce. La violenza sonora dei Behemoth è impressionante: Inferno ricorda il famoso, infaticabile orsetto della Duracell, mentre Orion e Seth sono rulli compressori. L’acustica perfetta ha contribuito a rendere l’esibizione ancor più potente, noi tutti sappiamo quanto sia delicato questo fattore all'interno di un festival, soprattutto nel caso di band come i Behemoth. Sicuramente uno dei migliori show del festival.

Ogni volta che gli Exodus calcano il palco di un festival l’effetto è sempre lo stesso: stupiscono, distruggono, scatenano e fanno impallidire la concorrenza e se questo succede anche con un bill così maledettamente aggressivo significa che Gary Holt e soci possiedono veramente una marcia in più. Quella che amo definire come la miglior thrash metal band in circolazione dimostra la sua supremazia sia con gli estratti dai più recenti lavori che con i cavalli di battaglia che hanno fatto la storia del thrash e tra un circle pit e l’altro hanno dato l’ennesima “lesson in violence”. In un alternarsi di leggende salgono sul palco i veterani Raven che, seppur poco conosciuti dagli astanti, conquistano immediatamente il calore del pubblico trascinandolo, per oltre un’ora, in un energico vortice fatto di heavy e speed metal di alta scuola.

Il sole tramonta dietro villa Certosa e il suo color giallo/arancione ci ricorda i dorati cancelli di Asgard. Gli Svedesi Amon Amarth, dopo una lunga intro sinfonica,  fanno il loro ingresso sul palco, e le note di “Twilight of The Thunder God” invadono l’area del festival. La loro carica energica è dirompente, non per niente sono stati premiati dalla rivista tedesca Metal Hammer come miglior live band del 2009. Premio che molto probabilmente meriterebbero di vincere anche quest’anno. Johan, brano dopo brano, tira fuori tutta la propria rabbia, a discapito di una scaletta che, ad onor del vero, comincia a mostrare una ripetitività preoccupante. L’esibizione è in ogni caso devastante, potente e stordente, i brani vecchi (pochi) e quelli nuovi (tanti) scorrono come l’idromele in una taverna alla fine di una battaglia. Un’ora e un quarto di quel purissimo e pregiatissimo death metal svedese che tanto li ha resi famosi.

I Lordi sicuramente di strada ne hanno fatta e non lo si può negare. Dalla prima loro esuberante e torrida esibizione in Italia all’Evolution Fest del 2005 al ruolo di Headliner della seconda giornata del Gods of Metal. Certo, molti si sono lamentati della loro posizione nel bill, giudicata inappropriata. A conti fatti, l’esibizione dei finlandesi è stata appagante, soprattutto per quanto riguarda il lato più puramente scenografico e teatrale del concerto. Effetti pirotecnici, fiamme, nastri, fumo ed effetti scenici di primo livello hanno accompagnato tutta l’esibizione dei Nostri. Sempre dietro alle loro maschere e costumi, la setlist proposta è un pot pourri di successi vecchi e nuovi. Due ore, poi ridotte di circa venti minuti, sono però forse troppe per una band che basa gran parte della propria esibizione sulla sua spettacolarità. La musica c’è, è vero, però tendere a risultare ridondante e ripetitiva. E qui sta l’abilità dei finlandesi: piazzare un brano di immediata presa a uno più soft e meno accattivante. Promossi, però con riserva.

Day 3

Report a cura di Daniele Carlucci e Marco Ferrari


Il terzo ed ultimo giorno della kermesse prevede le performance di band storiche come Motörhead  e Saxon. Oltre alla musica, il protagonista della giornata è un sole battente, che rende il clima torrido ed afoso. L'affluenza del pubblico aumenta progressivamente con il passare delle ore, a partire da quando sul palco salgono i Sabaton, che con il loro power metal spumeggiante e positivo, divertono e destano un'ottima impressione. Da questo momento scorrono via le esibizioni di tutti i gruppi chiamati ad accendere la giornata torinese, intervallate solo dai cambio-palco e sound-check (a volte troppo lunghi). Dopo i Labyrinth, va in scena lo show del Devin Townsend Project, in cui il frontman canadese, genio e sregolatezza, si scatena come un indemoniato: una cosa è certa, può piacere o meno, ma carisma ed originalità non mancano assolutamente a Hevy Devy. L'heavy metal puro degli Anvil lascia spazio all'esibizione dei Van Canto (entrambi sul palco minore), i quali vantano nel proprio repertorio cover di Nigthwish e Metallica. I tedeschi fanno sfoggio delle abilità delle cinque voci della formazione, accompagnate dalla sola batteria.

Se i Saxon sono considerati uno dei gruppi di maggior successo della NWOBHM un motivo ci sarà e vederli dal vivo offre una soddisfacente risposta: dopo oltre trent'anni gli “Stallions Of The Highway” dimostrano di essere ancora tra i migliori, regalando una potente e coinvolgente esibizione. Biff Byford dosa la sua voce in maniera perfetta, senza sforzarla o esagerare, risultando tuttora fresco e senza macchie. Il cantante si permette tra l'altro di ironizzare sulle disavventure italiane al mondiale di calcio in Sudafrica, ammettendo di suonare con una certa fretta per potersi gustare il match tra Germania ed Inghilterra (adesso sappiamo che non è andata troppo bene nemmeno ai britannici e che in tutta probabilità la band non si sarà divertita molto, ndr). La tripletta successiva si consuma a cavallo tra il palco A e quello B e vede protagonisti gli U.D.O. del peperino Udo Dirkschneider, i violentissimi Cannibal Corpse (il cantante dopo il concerto se ne andrà tranquillamente in giro tra il pubblico) ed i Soulfy di Max Cavalera, quest'ultimi sullo stage minore.

Quando fanno la loro comparsa i Bullet For My Valentine in molti tra la folla sembrano volerne fare a meno. Tra un brano e l'altro si alzano tra il pubblico cori inneggianti ai Motörhead e volano persino delle bucce di banana sul palco. Al di là di questo gesto poco cortese, viene quasi da chiedersi se la band britannica abbia deciso cosa fare da grande. Non si capisce dove i Nostri vogliano andare a parare: ma se continueranno su questa strada, il loro pubblico si ridurrà in breve tempo ad una schiera di quindicenni. Verso le 22, per la felicità dei fan, si materializza la sagoma di Lemmy e dopo il solito “We are Motörhead and we play rock n' roll”, inizia lo show del trio inglese, fatto, come sempre, di energia pura e musica trascinante.

Tra le considerazioni finali è giusto, innanzi tutto, sottolineare l'ottima organizzazione del festival, dalla location ai servizi offerti all'interno dell'area, con una menzione particolare per i buonissimi suoni e l'acustica. Cibo ottimo a prezzi onesti (stesso discorso esteso alla birra), area relax all'ombra con calcetti balilla, tavoli e sedie a disposizione. Alla fine della “tre-giorni del metallo” fa piacere constatare che tutto sia andato per il verso giusto e, soprattutto, che la gente si sia divertita in un coloratissimo mix di fan che attraversava tre generazioni e che, sono certo, ha avuto tutto quello che poteva desiderare da un festival di questo calibro.

Un ringraziamento particolare a Live in Italy, Roadrunner Records Italia e Kizmaiaz Promotion per la preziosa collaborazione e per averci permesso di lavorare nelle migliori condizioni.
Hanno collaborato per il report e per le fotografie: Marco Ferrari, Marco Somma, Annalisa Russo, Marco Belafatti, Davide Panzeri, Alberto Battaglia e Daniele Carlucci.



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