The Offspring (Kevin “Noodles” Wasserman)
In vista dell’imminente esibizione in veste di headliner all’anteprima del Rock in IdRho del 13 giugno e dell’altrettanto imminente pubblicazione del nuovo album “Days Go By”, abbiamo avuto l’occasione di raggiungere telefonicamente Kevin “Noodles” Wasserman, carismatico chitarrista degli Offspring, il quale ci ha confessato di avere ottimi ricordi riguardo i fan italiani sin dagli esordi della band. Buona lettura!
Articolo a cura di Andrea Mariano - Pubblicata in data: 04/06/12

Domande a cura di Eleonora Muzzi ed Andrea Mariano

Ciao Noodles, benvenuto su SpazioRock! Come stai?


Ciao, tutto bene, grazie, voi?


Benone! Iniziamo a parlare riguardo il vostro imminente nuovo album, “Days Go By”. Dove e come si è svolto il processo di composizione?


Beh, abbiamo impiegato oltre due anni per realizzare questo disco, abbiamo registrato la maggior parte del materiale ad Huntington Beach, nel nostro studio, dove abbiamo aggiornato tutto il materiale, tutto l’equipaggiamento e tutto il resto... Riusciamo a tirar fuori un bel suono da lì. Abbiamo lavorato per un periodo anche nello studio di Bob Rock alle Hawaii, proprio agli inizi, ma non ci siamo rimasti molto. Inoltre abbiamo fatto delle prove generali in uno studio di Vancouver, in Canada, dove a Bob piace lavorare e poi in altri posti fuori da Los Angeles quando uscivamo, ogni volta che avevamo bisogno di staccare un po’ la spina per cercare qualcosa di... Sai, sentivamo che ciò che volevamo ottenere stava ristagnando ad Huntington Beach, era come se ci stessimo girando i pollici senza far nulla, quindi volevamo semplicemente cambiare aria, ed abbiamo fatto di tutto per cercare nuove ispirazioni. 


È arrivato da poco Pete Parada alla batteria: come vi trovate con lui? C’è stato un buon feeling sin dall’inizio o c’è stato un periodo di “studio” da una parte e dall’altra?

theoffspring_intervista_2012_02bisSì, sai, ci siamo trovati alla grande con Pete, è incredibile, un ragazzo davvero affabile, assolutamente coi piedi per terra, oltre che un batterista grandioso. Ha suonato su circa metà dei brani del disco, una scelta dettata dal fatto che lui vive a Nashville, nel Tennessee, quindi era costretto a prendere voli in continuazione per venire da noi. Nel disco ci sono alcune canzoni per le quali abbiamo cercato di ottenere un tiro davvero veloce, e siccome Josh Freese si trova a soli trenta minuti da noi, una volta saputo che era in città gli abbiamo chiesto se fosse nei paraggi in modo da raggiungerci e buttare giù qualche traccia. Non posso che spender buone parole su Pete, vogliamo davvero bene a quel ragazzo. Io, Pete e Greg siamo usciti parecchio insieme, stuzzicandoci l’un l’altro. È stato davvero divertente.


L’arrivo di Pete ha influito in qualche maniera sul vostro modo di comporre usuale?

No, non credo. Dexter è sempre stato il compositore principale nel gruppo, ma credo che Pete ci abbia fatto conoscere un’ulteriore sfaccettatura di noi: lui sarà in grado di suonare qualsiasi cosa gli proporremo. È un batterista veramente in gamba, può suonare qualsiasi cosa: è molto bravo sui pezzi rock più lenti, questa è la nostra sensazione, ma se facciamo un brano reggae suonerà alla grande anche quello. Se la cava davvero bene anche con le robe punk rock più veloci. Ha avuto trascorsi metal con gli Steel Prophets, agli inizi, ma ha un’attitudine particolare per quel tocco punk rock. Può suonare qualsiasi cosa, insomma.


Ci sono episodi particolari o divertenti che ricordi durante le registrazioni?


Uhmm, aspetta, fammi pensare… Sai, capita sempre qualcosa, ci stuzzichiamo a vicenda in continuazione. Solitamente lo studio è il posto migliore per annoiarsi, fino a quando non si inizia a registrare qualcosa che sia davvero buono, quindi arriviamo tutti eccitati, stappiamo qualche birra e facciamo festa (ride, ndr)! Tuttavia penso che si tratti di una sorta di processo a rilento: per le persone che sono coinvolte nel creare musica è piuttosto noioso chiudersi in studio. Succede sempre qualcosa di sciocco, sai. Spesso si ride un po’ e poi si torna al lavoro.


“Days Go By” è il vostro nono album, ed uscirà a giugno, a quattro anni di distanza da “Rise And Fall Rage And Grace”. Ci sono stati eventi, persone o cambiamenti importanti che in qualche modo hanno influito sul processo di realizzazione del nuovo album?


Questa è una bella domanda. Non saprei... C'è una canzone su “Rise And Fall Rage And Grace” intitolata “Stuff Is Messed Up”; da quando l'abbiamo scritta non abbiamo visto tutti questi cambiamenti nel mondo (ride, ndr): alcune guerre sembrano in procinto di scomparire, ma non sono del tutto finite in realtà, sono ancora vive. Credo che la causa di tutti i disastri naturali e delle guerre sparse qua e là il mondo sia il tracollo dell’economia. Sai, qui in questo paese, ed immagino anche in altre parti del mondo, a giudicare dalle recenti elezioni, sembrano esserci grandi contrasti tra la gente: da un lato ci sono persone che difendono una posizione, dall’altro ce ne sono altre che difendono un'altra idea… Non si cerca di venirsi incontro dicendo “Ok, incontriamoci a metà strada e parliamo”, cercando un compromesso. Si preferisce risolvere il tutto con un “No, fottiti”, “Fottiti tu!” e, cazzo, nel nostro paese le cose funzionano così da almeno dodici anni, se non di più. Sembra che in futuro sarà sempre peggio, a giudicare da quel che sta accadendo in giro per il mondo.


Tra poco partirà il vostro tour che il 13 giugno toccherà anche l’Italia in occasione del Rock In IdRho: che tipo di show dobbiamo aspettarci? La setlist subirà grandi cambiamenti rispetto ai precedenti tour?


theoffspring_intervista_2012_03Ogni volta che ci prepariamo ad andare in tour cerchiamo di proporre delle canzoni che magari non abbiamo mai suonato. Cerchiamo di mescolare le carte in tavola, sai, aggiungendo un po’ di materiale vecchio alle novità. Diamo ascolto ai nostri fan, e specialmente quando viaggiamo in un sacco di paesi differenti le canzoni cambiano molto da una serata all’altra perché ognuno di questi ha le proprie peculiarità. Stiamo lavorando sodo per tirare fuori il meglio dai prossimi show. I concerti più grandi saranno perlopiù inseriti nella cornice di un festival, quindi saremo un po’ limitati, non sarà come un tour da headliner. Purtroppo non so se faremo qualcosa in Italia, ma in altre parti del mondo terremo qualche concerto in piccoli club proponendo materiale di diverso tipo, e questo ci rende abbastanza creativi e ci mantiene sempre sulle spine. Voglio dire, oltre a proporre nuovi pezzi daremo vita ad un grande show. Non sarà noioso, ecco (ride, ndr)!


Magari qualche sorpresa particolare per il concerto italiano?


Se spifferassi qualcosa non sarebbe una sorpresa (ride, ndr)! Però, sai, stiamo cercando di farci venire qualche idea. Cerchiamo di non fare mai la stessa cosa ogni sera, la setlist non cambia moltissimo, forse, ma proviamo sempre a proporre qualche canzone diversa da una serata all’altra.


Siete già stati in Italia a settembre: diluvio universale a parte, che ricordo avete di quell’esperienza?


Sì. Non ricordo che concerto fosse esattamente, era un grande festival...


L’I-Day Festival di Bologna.


Sì, giusto. Sì, ricordo che pioveva ed eravamo nel bel mezzo di un paio di temporali, ma le persone lì in mezzo resistevano, sono state grandiose, incredibilmente passionali! Ricordo una specie di “muro di fango”... Noi eravamo sul palco e davanti a noi c’era questo terreno pianeggiante che assomigliava un po’ ad una grande ciotola, come una specie di anfiteatro naturale. Pioggia e fango: la serata ideale per un festival punk rock!


In tutti questi anni di carriera, quale è stato l’episodio che, col senno di poi, ancora ti sorprende o ti fa ridere?


Ricordo la nostra primissima volta in assoluto in Italia, l’anno prima dell’uscita di “Smash”, durante un tour con i NOFX. Aprivamo per i NOFX in un piccolo club, credo poco lontano da Milano: fuori c’erano punching ball, barbecue, pizza, e questo era il nostro primo show in Italia, forse il primo in Europa. Tutti i presenti saltavano e conoscevano a memoria le parole di alcune delle canzoni di “Ignition”, sapevano persino tutti i “wooo wooo”, gli “yeah yeah” e robe simili, e cantavano insieme a noi. E' stata una grandissima emozione, considerando che all'epoca non ottenevamo granché nei locali qui ad Orange County... Venticinque persone a serata erano già un buon numero per noi, figurati quando siamo arrivati in Italia e ci siamo resi conto di avere fan che saltavano e che cantavano insieme a noi su ogni nostro pezzo, a migliaia di chilometri di distanza. Se penso che questo è successo quasi vent’anni fa, diciannove anni fa per la precisione, è piuttosto stupefacente, davvero sorprendente. Il mondo ci è sembrato veramente piccolo in quel momento e ci siamo sentiti davvero i benvenuti, è stata una sensazione fantastica!

 

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Bene Noodles, l’intervista è finita. Grazie mille! Se vuoi salutare i lettori di SpazioRock ed i vostri fan, a te l’ultima parola!


Ok! Voglio dire grazie a tutti i nostri fan italiani. Sapete che abbiamo sempre vissuto momenti eccezionali in Italia: amiamo il vostro vino, amiamo il vostro cibo (ride, ndr)! Da voi la gente è così calda e così passionale, uno dei pubblici migliori al mondo, quindi grazie mille ai fan italiani.


Perfetto! Grazie Noddle!


Grazie a te Andrea, ciao!




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