Spiral69 (Riccardo Sabetti, Enzo Russo)
Di passaggio per l'Italia insieme a un'eminenza dell'alternative rock come Steve Hewitt (abbiamo scambiato qualche parola anche con lui...) gli Spiral69 ci raccontano tutto sulla loro storia, sul sound del nuovo album, sul conflittuale rapporto con l'Italia e con il pubblico italiano.
Articolo a cura di Cristina Cannata - Pubblicata in data: 29/04/15
Ciao Ragazzi! E' un piacere avermi sulle pagine di SpazioRock, come state?

 

Riccardo: Bene, benissimo, mai stato meglio! Siamo solo un po' stanchi perchè stiamo facendo promozione serratissima tra radio, tv, viaggi, concerti, prove.. ma siamo molto felici!

 

In autunno uscirà il vostro nuovo album, cosa avrà di diverso rispetto ai vostri lavori precedenti, come "Alone"? Ci saranno delle differenze sostanziali a livello di sound?

 

R: Sì, parlavamo in questi giorni con altri giornalisti di questa scelta nemmeno troppo voluta. Ci siamo trovati a fare un percorso e all'improvviso ci siamo resi conto che volevamo comunque portare ciò che stavamo dando live anche su disco. Poi comunque con l'uscita di Licia (la pianista, ndr) dalla band ci siamo trovati con una formazione sicuramente più essenziale (basso, chitarra, batteria) e ci siamo detti "Perchè non facciamo quello che abbiamo sempre fatto live?" e per questo abbiamo iniziato una produzione un attimo più rock, con Steve alla batteria, sempre comunque con sfumature scure, quelle che ci hanno contriddistinto nel tempo e con qualche chitarra in più. Meno pianoforti e chitarre acustiche, più chitarre elettriche.

 

"Exile of the heart" è il brano che anticipa questo vostro nuovo lavoro, e si tratta di un pezzo molto cupo e aggressivo. Come mai avete deciso di affidare proprio a questo pezzo l'anteprima del vostro lavoro? Può essere inteso come la sintesi di tutto l'album?

 

R: Sì, è stata una chiara evoluzione di quello che abbiamo fatto, e secondo me è una perfetta bandiera di quello che può essere il nostro nuovo disco. Diciamo che abbiamo voluto aspettare un altro po' prima di pubblicarlo, ma sai com'è... è come quando il bambino ha il giocattolo nuovo e non vede l'ora di scartarlo. L'abbiamo prodotto, l'abbiamo fatto sentire a Steve che ci ha suonato e l'abbiamo confezionato e sì, sostanzialmente credo che sia una sintesi esatta di quello che sarà il nuovo lavoro. Ci siamo detti "Giochiamoci un po' il pubblico che ci siamo costruiti, o ci seguono ancora o abbandonano" perchè mancano parecchie caratteristiche che ci hanno sempre contraddistinto... potrebbe tranquillamente essere un'altra band.

 

Enzo: io credo che ci seguiranno...

 

A livello compositivo che lavoro c'è dietro il nuovo album? Avete registrato questo pezzo tra Roma, Napoli e Londra. Com'è stata questa esperienza?

 

R: Si, siamo stati un po' nomadi effettivamente perchè io vivo a Roma, Enzo vive a Napoli, Steve è a Londra e abbiamo dovuto per forza venirci incontro. Noi in generale utilizziamo un sacco internet. La nostra band è molto focalizzata su internet, non solo per la promozione ma anche per tanti altri aspetti. E a livello compositivo internet è una manna dal cielo perchè magari io registro una demo di quello che sarà il brano, lo mando ad Enzo che ci lavora e me lo rimanda, e lo portiamo avanti così, quindi fondamentalmente è stato concretamente registrato tra Napoli, Roma e Londra. Poi sono andato io a Londra a fare le voci con Steve che mi ha fatto da vocal coach, che stava li a bastonarmi... anche perchè purtroppo noi italiani abbiamo un accento che dal punto di vista degli stranieni sembriamo sempre Don Lurio. Però sì fondamentalmente siamo abbastanza nomadi. Poi ecco è anche riduttivo nominare solo queste tre città perchè son tutte cose che nascono spesso in tour. Contando gli ultimi due anni abbiamo fatto penso più di 70 concerti solo fuori dall'Italia.

 

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Non credi che come band, da quando esiste il mercato di internet, sei costretto a fronteggiare una concorrenza molto maggiore?

 

R: Internet è un'arma a doppio taglio. Adesso la gente fa un disco e lo mette su itunes. Bello, bellissimo, va benissimo ma il problema è che ti scontri con i Depeche Mode, con Madonna, con star di successo. Serve poi una promozione concreta alle spalle, che non è quella che si fa su internet. Chiaro c'è anche quella, ma c'è anche un'altra parte di promozione che è incentrata tutta su riviste ufficiali, eccetera... Hai bisogno comunque della promozione standard vecchia scuola, delle tv, della radio. Uno dei nostri promoter mi diceva che ogni 50 radio indipendenti fai metà di una radio mainstream. Quella è la promozione anche con la rete.. devi essere ovunque.

 

Il singolo vede la partecipazione di Steve Hewitt, con cui avete un rapporto di collaborazione ormai consolidato. Com'è stato lavorare con lui? Quanto la sua presenza ha influenzato il vostro gruppo a livello personale e artistico? Cosa ha portato concretamente nella band?

 

R: A livello personale sicuramente tu incontri un artista così grande, che ha fatto veramente la storia negli ultimi 20 anni del rock, almeno di quello alternative. E scopri che è di un'umiltà incredibile. E' il tuo compagno di banco con cui ridi e scherzi. Questo ti insegna tante cose umanamente. Uno che passa da Glanstonbury a suonare in un pub tranquillamente insegna molto a molti artisti, che invece si sopravvalutano tantissimo. Bisogna sempre stare con i piedi per terra e questa è la cosa che ci è subito salatata all'occhio. Artisticamente è uno scambio di energie: nel momento in cui suono con Enzo, con Steve, con Andrea, è chiaro che io do le mie energie e loro automaticamente mi danno le loro. Quindi si crea una sfera lavorativa-artistica inconscia in cui io mi scopro a scrivere delle parti di chitarra che stanno bene sulle batterie di Steve. Quando collabori con qualcuno è inevitabile che tu prenda quello che è il suo bagaglio e che lo metti nelle tue canzoni.

 

Anche a livello di mixing, avete lavorato con Paul Corkett.

 

R: E' il secondo lavoro che facciamo con Paul, tra l'altro, perché nel 2013 abbiamo fatto produrre a lui "Ghosts In My Eyes", che è stato mixato per intero da lui. E' una di quelle cose che ti inorgoglisce molto. E' colui che ha mixato 3/5 dei miei album preferiti in assoluto quindi mi basta solo quello. Mentre per "Exile" abbiamo fatto una scelta diversa: lui ha mixato la versione che sarà nel disco e Enzo la versione singolo; abbiamo fatto delle versioni diverse come si fa soprattutto in America, dove fanno le cosiddette single versione.

 

Quanto pensi che la presenza di Steve, e di queste eminenze del panorama internazionale, vi diano degli elementi per essere più apprezzati fuori dall'Italia?

 

R: L'unico elemento che ti danno fondamentalmente, parlo a livello di visibilità... è che la gente è pigra, il pubblico è pigrissimo.. e se hai un gancio del tipo "Ah lui suonava con i Placebo, poi suona con loro, magari potrebbero piacermi", non è un elemento da sottovalutare. Noi stiamo scoprendo una quantità di fan dei Placebo che sono diventati nostri fan da un giorno all'altro. Però si tratta di pigrizia, perchè magari se avessero ascoltato i brani prima sarebbero comunque piaciuti. Oppure c'è anche una sorta di autoconvinzione: "Non mi piacciono, però poi me li faccio piacere, perchè fanno parte anche loro di quell'universo".

 

Un'altra vostra grande esperienza è stata quella con Lou Reed: come è stata per voi? Ve la sareste mai immaginata una cosa del genere?

 

No assolutamente. Non te la immagini. Ma non te la immagini tutt'ora. Nel senso... son passati quasi quattro anni, ma ancora non te la immagini. Questa è la rete. Per ricollegarmi al discorso di prima. Suppongo che lui abbia trovato su internet il brano che ci ha chiesto e in quel caso, ecco, internet ci ha dato tanto. Quando ho letto il nome non ci credevo, non ci ho creduto assolutamente, sono stato una giornata a dire "Vabè, è uno scherzo". Poi mi sono svegliato il giorno dopo e ho scritto... in quanto cantante egomaniac ho detto "Mah, potrebbe anche essere vagamente vero". Ho scritto e in realtà era vero. Era tutto vero. Un'esperienza bellissima. Avere un qualcosa che hai fatto collegato ad un pezzo di storia, essere stati per due mesi in onda sulla BBC inglese, è una cosa molto molto forte. Molto bella.

 

Dalla one band man a oggi: questo processo evolutivo te lo aspettavi o no? Cosa è cambiato nella sostanza? Forse alla base di questa idea c'era qualcosa di "meno ambizioso"?

 

R: Assolutamente c'era qualcosa di meno ambizioso: il primo disco l'ho registrato in un'estate perchè non avevo i soldi per andare in vacanza.

 

E: Io invece ce li avevo e stavo in vacanza... e lui mi rompeva le palle.

 

R: Io stavo a casa chiuso a registrare questo disco. "Che hai fatto quest'estate?". Ho registrato un disco. Low budget al massimo. Poi capitano quelle cose che non ti aspetti. Un disco registrato senza nessuna aspettativa, mi ha fatto firmare il contratto con un'etichetta dopo appena 5 giorni dalla sua realizzazione. Abbiamo iniziato il primo anno a fare tanti concerti. Poi il passaggio è stato necessario: diventa una cosa che ti fa dire "Casualmente ho trovato quello che mi va davvero di fare"...

 

Il vostro successo all'estero è ormai acclarato, ma in Italia lo è molto meno...

 

R: No, non lo è per niente. La nostra proposta è proprio totalmente fuori dai canoni del mercato italiano.

 

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Quali pensi che siano effettivamente le ragioni alla base di questo difficile rapporto? Cosa c'è di sbagliato nel mercato italiano?

 

R: Guarda, ci portiamo dietro un bagaglio culturale sulla proposta artistica italiana che ormai con l'inizio del nuovo secolo ha iniziato a decadere... perchè deve diventare tutto più facile. Se vogliamo fare un esempio banale: i cantautori che abbiamo adesso, non riesci neanche lontanamente ad associarli ai cantautori che abbiamo avuto in passato. E' un po' come il parallelismo nell'arte: fino agli inizi del '900 la gente faceva arte sì per commissione, ma generalmente la faceva per esprimersi, a prescindere da qualche obbligo, adesso la gente fa l'opera perchè deve andare alla Biennale. E' un po' diversa la cosa: la gente fa il disco perchè arriva Sanremo e deve fare la canzone per Sanremo. Se non hai niente da dire, non dire niente. Aspetti il prossimo Sanremo magari. E' una dinamica strana, per noi è un po' difficile entrarci con la nostra musica. Anche perchè semplicemente cantiamo in inglese. L'esempio più eclatante italiano è Elisa che ha fatto tre album in inglese, e poi le hanno detto "Senti, che vogliamo fare?" e lei ha dovuto cambiare direzione. L'altro giorno un tassista ci ha detto "Ah siete un po' come gli Almamegretta" e noi "Guarda all'estero siamo molto più forti di loro" (ride, nrd). Ma nell'immaginario collettivo non è così.

 

L'idea di cantare in inglese nasce appunto dalla consapevolezza di poter essere apprezzati solamente all'estero? O lo trovavate più congeniale alle vostre strutture musicali?

 

E: Se tu vendi una barca in montagna...non ha senso. Fare questo genere di musica dark wave in Italia, in italiano... Non ha senso. Che facciamo? Perdiamo tempo? Quindi fortunatamente si sono aperti i canali dell'estero e suoniamo poco in Italia.

 

Quali esperienze estere vi ricordate di più, sia in termini positivi che negativi?

 

R: I tassisti dell'est Europa, fanno davvero spavento: arrivano a 190 km/h, sono ubriachi e... sono paurosi. Terribili. La cosa bella è che giri il mondo, conosci un botto di gente, conosci un sacco di artisti. Facciamo tantissimi festival.

 

C'è qualche band internazionale con cui vi piacerebbe dividere il palco? Qualcuno italiano? Qualcuno che non sopportate?

 

R: Di certo non vorremmo mai collaborare con Nek. Io da piccolo ero fan dei Saltoniente, band ormai in disuso. Con loro abbiamo collaborato, quindi sono già abbastanza soddisfatto da questo punto di vista. Mi sarebbe piaciuto collaborare con i Khrisma, ma purtroppo non è chiaramente più possibile. A livello internazionale l'intoccabile Reznor, ma è appunto intoccabile. Intoccabilissimo.

 

Quali sono adesso i vostri prossimi impegni?

 

R: Intanto promozione: ci facciamo sentire in giro quanto più possibile; registrare il nuovo album, finire di lavorarci... siamo a buon punto e ci sono novità; poi a maggio siamo in tour, un'altra volta.

 

E ci passate dall'Italia?

 

E: No!

 

Ma almeno Napoli, Milano, Roma...

 

E: Ok, Napoli, Milano, Roma. Poi continueremo ad andare in giro.

 

Bene ragazzi, grazie del vostro tempo. Se volete lasciare un messaggio ai vostri eventuali fan italiani...

 

E: Serio o divertente?

 

Uno serio e uno divertente.

 

E: Il serio: "Fate l'amore!".

R: Il poco serio: ascoltate un sacco di musica, mettete pure Spotify random, e ascoltate quello che esce fuori.




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