DOEDSMAGHIRD Ominverse Consciouness 2024 700x700
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Doedsmaghird – Omniverse Consciousness

Qualora i seguaci dell’avantgarde in ambito estremo leggessero esclusivamente il nome della band autrice dell’album “Omniverse Consciousness”, il meditabondo rimuginare durerebbe molto meno dello spazio di un mattino. I Doedsmaghird, infatti, rappresentano il progetto parallelo e il frutto soltanto in apparenza deforme dell’ingegno di Vicotnik, mente geniale degli straordinari Dødheimsgard, qui coadiuvato dal polistrumentista, e all’occorrenza singer, Camille Giraudeau, deus ex machina degli sperimentali Dreams Of The Drowned e membro degli altrettanto singolari Stagnant Waters. Nonché chitarrista live dei DHG.

Se nell’ultimo e torrenziale lavoro di quest’ultimi, il magnifico concept filosofico “Black Medium Current” (2023), il metallo nero liquido attraversava le galassie del determinismo e del libero arbitrio, è una legione di angeli decaduti, memore dell’anarchica lezione industrial di “Satanic Art” (1998) e “666 International” (1999), a sfregiare la volta cosmica del debutto di questo nuovo progetto franco-norvegese. Eppure, benché a tratti l’elettronica si incunei disarmonica e severa nei brani, il buon Yusaf Parvez riesce a domare anche i suoni più frastagliati e spigolosi dell’album, convertendolo in una spettrale esperienza mistica che, con le radici ancora salde in un mondo terreno rovinosamente decrepito, cerca di elevarsi sin quasi a penetrare il punto d’intersecazione degli universi. Una spinta così vigorosa che pare quasi di assistere al prequel concettuale di “A Umbra Omega” (2015) – o alla versione distorta dello stesso.

Laddove l’incipit “Heart of Hell”, dopo un abbrivio lacerante, vaga assorto e contemplativo aprendosi autostrade siderali fra beat quadrati di matrice darkwave, “Sparker Inn Apne Dorer” salda tremolo e sintetico in un’orgia sonora tanto cacofonica quanto evocativa, prima che la feroce “Then, To Darkness Return” bruci sé medesima affogando nel tenebroso tribalismo dei Funeral Mist. Gli affondi falcianti di “Endless Distance” si disciolgono, nella seconda metà del pezzo, in quella che sembra un’interpretazione robotica di “Giant Steps” di John Coltrane, mentre “Death In Time” e “Minn Tid Er Omme” accorpano, mediati dai vecchi Manes, Abruptum e la kosmiche musik, issandosi su gelidi ritmi di drum machine.

Il vero gioiello del disco, però, arriva in coda con “Adrift Into Collapse”, pista che stempera nella trap l’oscura frenesia iniziale, rendendo l’atmosfera sospesa e gelatinosa, almeno sino all’emersione di violini campionati responsabili di una sotterranea trasposizione cyber-noir del Le Quattro Stagioni di Antonio Vivaldi. Su tutto spicca l’ugola del mastermind di origine indiana, che, di volta in volta – e spesso senza preavviso – alterna umori depressivi, lamenti psicotici, spoken word barcollanti, urla rumorose e vocalizzi da muezzin, con la musica che, pur rimbombando in superficie come il clangore sordo di una fabbrica di inizio ‘900, acquisisce forza e valore nell’amplificazione cumulativa delle proprie influenze. Con il pianoforte dei due instrumental “Endeavour” e “Requiem Transiens” ad aggiungere un senso di straniante e superna poesia alla tracklist.

“Omniverse Consciousness” rappresenta lo specchio di un’interiorità multidimensionale che, tentando di raggiungere un equilibrio pressoché impossibile, preferisce espandersi febbrilmente invece di vegetare nella stasi dell’attesa: la summa della visione dei Doedsmaghird e delle inquietudini artistiche del suo principale artefice.

Tracklist

01. Heart Of Hell
02. Sparker Inn Apne Dorer
03. Then, To Darkness Return
04. Endless Distance
05. Endeavour
06. Death Of Time
07. Min Tid Er Omme
08. Adrift Into Collapse
09. Requiem Transiens

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