
Mentre aspettiamo che inizi il concerto la regia ci sottopone all'ascolto di brani dell'attualità commercial-discotecara accolti con le felici danze delle numerose ragazze presenti in sala, e sarò prevenuto, ma è un indicatore coerente con l'assenza di T-shirt degli Iron Maiden, il classico indumento medio per un concerto metal. A scaldare il pubblico per bene ci pensano le due band d'apertura, Chelsea Grin e BlessTheFall, i primi in particolare hanno una potenza d'urto spaventosa, da far invidia agli stessi headliner della serata. Quando saranno poi gli Asking Alexandria a calcare il palco il pubblico diventa quasi isterico, anche se generalmente calmo nelle manifestazioni di foga fisica. I Nostri hanno all'attivo gli album "Stand Up And Scream" e "Reckless & Relentless" e saranno gli estratti dal primo a convincere di più, data una vena di scrittura mediamente più fresca. La nota generale che viene da fare è che il concerto sia un tantino piatto, abituati alla patina succulenta della produzione su disco, sebbene l'esecuzione non sia certo carente su qualche aspetto in particolare. Come s'era scritto in precedenza la band di York può vantare più delle concorrenti quelle quattro o cinque canzoni che sono un'autentica marcia in più, e anche dal vivo ci si diverte maggiormente in prossimità di quei pezzi. "Not The American Average" è il brano che i Nostri dedicano a Bieber, con il suo inizio cantato con in pulito pop punk, il riff hardcore irresistibile, il breakdown condito di effetti elettronici e quell' intermezzo d'archi e pianoforte vagamente gotico rappresenta uno dei migliori esempi di sincretismo di stili pensato per essere la pietanza sonora della giovane generazione. Dall'ultimo disco, poi, emerge con prepotenza "Closure", nella quale è l'elemento di orecchiabilità, sepolta in poderosi chugga-chugga riff o esaltata in cavalcate hardcore, a costituire l'attrattiva di un brano comunque "tamarro" e furbo come sempre. La chiusura del concerto è affidata all'uno-due migliore del repertorio: "Alerion"+"The Final Episode". Quest'ultimo può a buon diritto essere considerato un inno di questa subcultura, scandito dalla brutalità elementare del testo "Oh My God" (x 2), e da un' evoluzione del brano efficissima sebbene vengano rispettati i confini del genere (o forse sfruttando proprio questo) culminante nella fusione di riffs ad un beat quasi dance.
Emerge un ritratto chiaro da questa serata, quello di una band più votata agli imperativi dello stile che alla musica in senso stretto, il ritratto di quelli che con qualche trovata riscuotono dieci volte tanto; interessantissimi come guilty pleasure nel caso se ne apprezzi il genere o la cultura di riferimento che sta segnando le ultime tendenze di gusto giovanile.